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02 ago 2011

Il mio rapporto sulle minoranze

di Luciano Caveri

Vorrei ripercorrere con voi il documento sulle minoranze linguistiche, di cui sono stato relatore e che è stato approvato un mese fa dal Comitato delle Regioni. Il punto di partenza è semplice: "l'Unione europea è ricca di minoranze linguistiche e nazionali storiche (definibili anche come autoctone o tradizionali) che si esprimono con lingue diverse da quelle dei propri Stati d'appartenenza". Un dato inoppugnabile, che restringe il campo d'esame non applicandosi alle "nuove" minoranze, quelle frutto delle migrazioni recenti.

Era poi necessario un inquadramento sul ruolo del Comitato delle Regioni: "in tutti i Paesi dell'Unione europea i livelli di democrazia locale e regionale, nel rispetto del principio di sussidiarietà, rivestano sempre di più un ruolo significativo di difesa e di promozione di questa diversità culturale e linguistica, ad esempio nei campi dell'educazione di tutti gli ordini e gradi, nella cultura e nei media, così come nello sviluppo regionale". Necessariamente sintetico, ma cercando di metterci tutto con il punto successivo: "insiste sull'impatto positivo delle lingue minoritarie e della diversità linguistica in Europa sia per l'ambito sociale e culturale in generale sia in particolare per le persone e per le loro comunità d'appartenenza, consentendo inoltre di favorire la creatività e l'innovazione nel quadro di una valorizzazione di ciascun patrimonio culturale a vantaggio anche dello sviluppo economico". Ma poi bisognava venire al punto, che è l'incidenza indispensabile del "Diritto", perché senza la forza delle leggi siamo sempre fermi alle buone intenzioni: "vi è stato in questi ultimi decenni un progressivo arricchimento degli strumenti giuridici di salvaguardia e di sviluppo delle cosiddette lingue minoritarie attraverso il diritto internazionale, come avvenuto con la "Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche" delle Nazioni Unite del 1992 e con le numerose dichiarazioni, convenzioni e raccomandazioni dell'Unesco in tutta la sua storia, sino alla più recente "Convenzione sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali" del 2005. Ma la verità in Europa, sta nel lavoro enorme svolto dal Consiglio d'Europa, istituzione ben più vasta dell’Unione europea e che ha nulla a che fare con le istituzioni europee propriamente dette, ma era bene ricordare proprio "il ruolo importante del Consiglio d'Europa da sempre avuto nella materia della politica linguistica in particolare con la fondamentale "Carta europea delle lingue regionali o minoritarie" del 1992 e con la "Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali" del 1995, senza dimenticare la recente risoluzione del "Congresso dei poteri locali e regionali" del Consiglio d'Europa del 18 marzo 2010 (301/2010) recante il titolo "Lingue minoritarie: un contributo per lo sviluppo regionale" che inquadra il contributo positivo di queste lingue per lo sviluppo regionale". Ma, a questo punto del documento, era bene occuparsi "dell'Unione europea e della crescente sensibilità sul tema in Europa, dimostrata anche dall'evoluzione giuridica del diritto comunitario, com'è avvenuto in particolare con il "Trattato di Lisbona" che introduce il rispetto della ricchezza della diversità culturale e linguistica come elemento cardine nel quadro della salvaguardia e dello sviluppo del patrimonio culturale europeo, e con la stessa "Carta dei diritti fondamentali", che impedisce ogni forma di discriminazione basata sulla lingua o sull'appartenenza a una minoranza nazionale". In questo senso andava ricordato quanto c'era prima del "Trattato di Lisbona" e dunque "ancora prima che questa base giuridica rendesse solido il sistema di tutela, le diverse istituzioni dell'UE avevano riconosciuto come già presenti elementi di salvaguardia nei principi dei Trattati esistenti ("acquis communautaire"), come dimostrato in occasione dell'allargamento chiedendo, con i principi di Copenaghen, politiche attive di tutela delle minoranze linguistiche, anche grazie a un'interpretazione evolutiva in questa materia da parte della Corte di giustizia europea". Ma non c'è rosa senza spine: "se proprio l'evoluzione giuridica consente una maggior protezione, tenendo certo conto del rispetto dei principi costituzionali dei singoli Stati membri, ciò non comporta ancora per la Commissione l'esistenza di una base giuridica che giustifichi l'esistenza di linee budgetarie specifiche per le minoranze linguistiche storiche". Certo esistono "gli sforzi che le diverse istituzioni, compreso il CdR, stanno facendo per la tutela del multilinguismo nell'attività politica e nel lavoro amministrativo, compresa una progressiva introduzione delle lingue minoritarie, come dimostrato con gli accordi con Spagna e Regno Unito. Va poi apprezzato il lavoro di collaborazione della Commissione con le diverse organizzazioni che operano nell'Unione a favore delle minoranze linguistiche, segnalando l'ampia attività svolta dalla Rete per la promozione della diversità linguistica (NPLD), e in passato, prima dello scioglimento, con l'Ufficio europeo per lingue meno diffuse (EBLUL) e con la rete "Mercator", che si sono occupate nel tempo delle diverse implicazioni delle lingue e culture minoritarie". Rientra sempre fra le cose buone "il fatto che molti programmi europei (a solo titolo d'esempio: Media, Cultura, azioni a favore delle Pmi, fondi strutturali, sviluppo delle nuove tecnologie) abbiano finanziato azioni a favore delle minoranze linguistiche, tenendo conto talvolta di politiche di contesto geografico vasto, come la "Strategia del Danubio" o la "Convenzione alpina" (su cui ha operato lo "Spazio alpino")". Tuttavia – e ciò è negativo - "da uno studio del 2008 del Parlamento europeo è emerso come sia diminuito il montante dei fondi a favore della diversità linguistica se rapportato al numero crescente di lingue dell'Unione europea". Fin qui le premesse, necessariamente per punti e improntate ad una logica didascalica.

Le azioni necessarie non potevano ovviamente che partire, in una logica di valorizzazione, dai compiti del Comitato delle Regioni stesso: "un'assemblea nella quale possono essere raccolte e diffuse, a beneficio di tutte le minoranze linguistiche storiche, quelle "buone pratiche" di tutela e valorizzazione delle lingue minoritarie e più in generale della cultura di ciascuna minoranza linguistica come espressione del pluralismo culturale europeo". I punti conclusivi vanno esposti, da qui in poi, con la secchezza del testo:

chiede alla Commissione europea di continuare nell'azione di promozione della diversità linguistica sostenendo a diverso titolo l'insegnamento delle lingue, comprese quelle minoritarie o regionali; invita le autorità dell'UE a promuovere l'utilizzo di queste lingue nel contatto diretto fra istituzioni europee e cittadini a dimostrazione anche della vicinanza dell'Unione alle minoranze linguistiche storiche con particolare riferimento ai siti web dell'UE e alle comunicazioni on-line; incoraggia anche il livello di democrazia regionale e locale a far conoscere, mediante campagne informative, i diritti delle minoranze linguistiche nonché la ricchezza e la diversità delle loro culture nelle rispettive comunità locali e al resto d'Europa; chiede alla Commissione di supportare le istituzioni regionali e locali in Europa per lo sviluppo dell'insegnamento con materiale e strumenti come la formazione degli insegnanti tenendo conto delle necessità di ciascuna delle comunità linguistiche; raccomanda che le lingue minoritarie o regionali siano pienamente integrate nelle politiche, nei programmi e nelle priorità trasversali dell'Unione con particolare riferimento alla politica nel settore degli audiovisivi, a quella scolastica a tutti i livelli, al settore della cultura e dell'apprendimento linguistico, così come nella politica di cooperazione territoriale, di sviluppo regionale, nel settore turistico e di interscambio fra i giovani; propone alla Commissione e di conseguenza al Consiglio che nel futuro periodo di programmazione ci sia un adeguato coinvolgimento delle lingue minoritarie e regionali nel quadro della politica regionale, nel prossimo programma quadro sulla ricerca, nei programmi Cultura e Media, in tutti i programmi nel settore culturale, scolastico e della formazione e in particolare nel "Programma d'azione nel campo dell'apprendimento permanente Llp", mentre lo stesso deve valere per settori come i fondi strutturali, l'Agenda digitale e tutto ciò che concerne la valorizzazione delle persone e delle comunità cui appartengono; segnala alla Commissione la necessità di avere un quadro d'insieme, periodicamente aggiornato (anche con la revisione degli studi Euromosaïque), delle diverse azioni a favore delle minoranze linguistiche storiche anche per mettere a disposizione occasioni di scambio e di reciproca conoscenza a vantaggio di una solida coesione culturale nel disegno complessivo d'integrazione europea, che veda nel "puzzle europeo" anche l'apporto significativo delle lingue regionali e minoritarie.

Questo era quanto la temperie politica consentiva di fare. Ritengo che l'esito conclusivo dipenderà anche dalla diffusione dai passi successivi che verranno fatti. Siamo già al di là di una semplice fotografia, ora spetta alle minoranze farsi sentire e la Valle d'Aosta, malgrado la sua piccolezza, può avere un ruolo autorevole.