Chi si stupisce del disinteresse dello Stato verso il "suo" Parco del Gran Paradiso, assassinato dai tagli finanziari della manovra, dovrebbe studiare la storia del più vecchio Parco nazionale in Italia. Questi tagli, in sostanza, seguono decenni di trasferimenti esangui con un progressivo peggioramento dagli anni Novanta, quando la retorica ambientalista portò al moltiplicarsi dei Parchi nazionali con i soliti favoritismi verso quelli del Sud, compresi quelli fasulli. Per altro, se nel dopoguerra la nostra fragile autonomia speciale non si sarebbe potuta sobbarcare una regionalizzazione del Parco, già dagli anni Settanta questa invece sarebbe stata la svelta logica cui si contrapposero sia i partiti nazionali che la giurisprudenza della Corte costituzionale. Ricordo discussioni feroci con chi, a destra come a sinistra, descriveva i montanari delle zone del Parco e gli amministratori regionali e comunali come degli speculatori grifagni pronti a cementificare le vallate del Gran Paradiso e fare strage di animali. Peccato che ad uccidere il Parco sia l'asfissia conseguente ai mancati trasferimenti statali e chi pensa che la Regione autonoma paghi per una struttura che resta profondamente statalista, senza aver voce in capitolo, sbaglia di grosso. "SOS Parco", dunque, passa attraverso la regionalizzazione, visto tra l'altro il modello vincente del Parco del Mont Avic.