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27 feb 2014

Canta che ti passa

di Luciano Caveri

Temo che non si possa non parlare del "Festival di Sanremo": è un punto di passaggio, nel cuore dell'inverno, che già è uno dei segni che la primavera arriverà. In più è da lì che, almeno un tempo, si concretizzava il tappeto musicale per il resto dell'anno. Nel mio bagaglio musicale ho stratificato un sacco di canzonette sanremesi. Partiamo da distante per arrivare vicini. Il modo di dire "canta che ti passa" pare che derivi da un incisione fatta da un soldato sconosciuto sulla parete rocciosa di una dolina carsica, trasformata in trincea, durante la Prima Guerra Mondiale, da un soldato sconosciuto. Piero Jahier, scrittore e poeta italiano, di famiglia valdese, nato nel 1884 e arruolato nel 1916 come volontario negli Alpini con il grado di sottotenente, cita questa frase nell’epigrafe della sua raccolta di "Canti di soldato", pubblicata nel 1919, che si ispira appunto al periodo passato in quella logorante Grande Guerra. Chiunque abbia un minimo di conoscenza del patrimonio musicale degli Alpini, in parte creato e plasmato nella Guerra 15-18, sa bene di che cosa si tratti e come cementasse uno spirito di corpo e alcuni valori di riferimento del'"alpinità". E' ben noto come uno sforzo fisico o emotivo costi meno fatica quando si canti o si ascolti la musica, anche in sincronizzazione con il proprio movimento e questo avviene nei lavori pesanti e ripetitivi, ma anche nella pratica di chiunque faccia sport. Esiste - tratta dal Web - una ricerca sperimentale descritta sulle pagine dei "Proceedings of the National Academy of Sciences" da Thomas Hans Fritz e colleghi dell'Istituto di psicoacustica e musica elettronica dell'Università del Ghent, in Belgio. Secondo gli autori, produrre suoni con il proprio movimento determina un "feedback emotivo" che consente un più efficace controllo muscolare. Pare che la musica distragga dalle sensazioni spiacevoli che accompagnano il progressivo esaurimento delle forze. Questo principio dovrebbe valere, nel suo elemento più di distrazione e di distensione, in un "Festival di Sanremo" che dovrebbe ruotare attorno a canzoni e musica. Uso il condizionale non a caso, dopo aver visto la prima serata. Tutto c'era, in una sorta di pot-pourri, ma mancava proprio quel che è sempre stata la vocazione: la musica. A me, personalmente, questo è mancato e fatemi dire che le canzoni che c'erano, arrivate in gran parte in seconda serata, erano mosce e depressive. De gustibus, naturalmente. Innegabile, invece, come non si possa ripetere all'infinito la televisione della nostalgia e del "come eravamo".