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27 lug 2009

Alcool

di Luciano Caveri

Monta la polemica su alcool e minorenni. A leggere con attenzione le ordinanze dei sindaci, che mirano a regole più stringenti zigzagando fra codice penale (che punisce la somministrazione, ma non la vendita, ai minori di 18 anni) e nuove norme contro il degrado urbano (l'assioma è fra consumo di alcoolici e esplosione di violenza e teppismo), siamo di fronte ad una realtà assai variegata, cui si sommerebbe il consumo zero per i neopatentati, se passerà la riforma in Parlamento del Codice della strada. Quello dell'alcool e dei suoi abusi, le cui conseguenze sono note e disastrose, è uno dei temi carsici in Italia. Ogni tanto sparisce per poi riapparire anni dopo, mentre i dati mostrano progressivi peggioramenti. Il tema in Valle d'Aosta, guardando le statistiche di vario genere (consumi, malattie, incidenti stradali), non è di poco conto. Far finta di niente non aiuta: i valdostani - e ne siamo tutti testimoni - sono in media dei bevitori robusti e le conseguenze sono ovvie. Da tempo diverse campagne invitano la nostra popolazione ad un uso ragionevole per evitare che un piacere, come a mio avviso è un consumo moderato degli alcoolici, non si trasformi in tragedia personale con conseguenze collettive, essendo i costi sociali, diretti ed indiretti, enormi.

L'educazione e la formazione per un uso consapevole di una sostanza, l'alcool, che può essere dannosa è una strada da accompagnare con sanzioni di vario genere. L'idea che esista una punizione a comportamenti sbagliati o antisociali fonda la convivenza civile, perché senza regole chiare ognuno rischia di regolarsi di testa propria e ciò apre spazi di libertà arbitrari per chi non ha consapevolezza dei rischi derivanti dai propri comportamenti. Per cui personalmente trovo che il contemperamento fra libertà propria e confini posti a difesa degli altri resti il punto di partenza. Mi preoccupa, tuttavia, l'idea del divieto assoluto o, come ben si dice, parlando di alcool, la logica del proibizionismo. Il fenomeno è storicamente preciso: negli Stati Uniti un emendamento alla Costituzione proibì l'alcool dal 1910 al 1933. Ricordiamo tutti che ciò sortì un mercato nero e fece prosperare i gangster. Oggi il proibizionismo è diventato, in senso lato e per altre sostanze, un modo di pensare, che tende a vietare ogni sostanza ritenuta pericolosa, vietandone l'uso. Ciò crea rischia di creare, specie per i giovani, mercato paralleli ed illeciti e soprattutto di attorniare la sostanza - in questo caso l'alcool - di quel fascino derivante dai divieti e dal gusto di infrangerli. Un meccanismo psicologico ben noto e conosciuto. Ecco perché il divieto, che pure può essere declinato in modo intelligente e senza una logica da ghigliottina, serve solo se fa parte di un disegno più vasto, che miri a spiegare - in modo semplice e senza logiche moralistiche o messaggi funerei - le conseguenze che derivano da un abuso di alcool. Argomento per nulla semplice da trattare, perché siamo su un crinale delicato. Esiste anche in Valle nell'alcool, specie da giovani e mi riferisco a quel rito di passaggio ancora rappresentato dalla festa dei coscritti, un carattere iniziatico, un insieme di valori, una funzione aggregativa e di distensione, una valore simbolico della sostanza che non può essere cancellato agitando solo le paure e le conseguenze drammatiche o pericolose. Per educare bisogna scendere più in profondità e farlo con approcci e linguaggi adatti ai giovani, come in parte si è tentato di fare in questi anni, anche se gli esiti sono difficili da valutare. Per cui le ordinanze, le nuove leggi, la repressione e le proibizioni rischiano di restare proclami inutili se non crescerà una coscienza su atti, comportamenti, conseguenze. Un lavoro più difficile del semplice niet.