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04 ott 2022

I capponi di Renzo

di Luciano Caveri

Vabbè: partiamo dal presupposto che chi fa politica ha sempre e legittimamente delle ambizioni personali, sperando che queste aspirazioni coincidano sempre con il bene pubblico. Personalmente sono ormai una specie di indovino che vede arrivare chi, quasi sempre sparlando dei politici, in realtà aspetta solo la volta buona (o cattiva, a seconda dei risultati) per candidarsi per diventare lui stesso…politico. Categoria, comunque sia, assai varia quella dei politici. Ficcante Guy de Maupassant, quando chiosava: “Era uno di quegli uomini politici senza un suo volto preciso, senza convinzioni proprie, senza grandi mezzi, senza ardimento e senza una seria preparazione, un avvocatuccio di provincia, un simpatico figurino nella sua cittaduzza, un furbacchiotto che sapeva barcamenarsi fra i partiti estremisti, una specie di gesuita repubblicano e di fungo liberale di dubbia commestibilità, come ne spuntano a bizzeffe sul letamaio popolare del suffragio universale”. Espressione brutta quest’ultima per chi crede nella democrazia, ma certo qualche volta il suffragio universale è servito per reggere dittatori (vedi Putin) o eleggere stupidi (molti esempi sono possibili, vicini e lontani). Ma l’aspetto ormai irritante della politica sta nella difficoltà di andare d’accordo, specie quando a richiederlo sono le circostanze difficili Ma chi meglio di Alessandro Manzoni ne “I promessi sposi” (mi raccontano di un’insegnante che ha liquidato il libro dalle sue lezioni per dei romanzetti!) per spiegarne l’assurdità? Ricordo il passaggio diventato proverbiale e cioè i capponi di Renzo Tramaglino: “Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”. La descrizione così vivida ricorda di quando Renzo va dall’Azzeccagarbugli e per ripagarlo del servizio che gli chiederà, gli porta in dono appunto quattro capponi. Questi polli sono destinati a finir male tutti insieme: sono compagni di sventura ma non trovano neppure al limitare del loro dramma niente di meglio che beccarsi tra loro. Quanti ne vedo che sono così in politica in un’epoca in cui bisognerebbe che chi, dotato di senso di responsabilità. dovrebbe imporsi di fare squadra e lavorare assieme. Un imperativo per uscire da situazioni complesse, che non consentono divisioni che complicano le cose, fanno perdere tempo prezioso e risorse utili che derivano dall’invece necessario idem sentire. Certo che è un’esercizio difficile che richiede sforzo e buona volontà. Come diceva il Mahatma Gandhi: ”Perché ci sia vera unità, questa deve sopportare la tensione più pesante senza spezzarsi”.