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03 feb 2022

Dimenticare il "Delitto di Cogne"

di Luciano Caveri

Esiste una curiosità insana per un filone di giornalismo noir che ha ormai dilagato. Certo, ci sono illustri precedenti nella cronaca nera dei giornali a partire dall'Ottocento, ma ormai il fenomeno è come esploso con certi strumenti di comunicazione di massa sempre più rapidi e dilaganti. C'è da soddisfare l'interesse di un pubblico che segue i gravi delitti di sangue, come se si trattasse di chissà quale attrazione. La televisione ha ingigantito il fenomeno e si sono moltiplicate trasmissioni di voyeurismo giudiziario nel filone di "Chi l'ha visto", che ormai si occupa di casi irrisolti meglio di investigatori privati, dopo il fallimento degli inquirenti titolati a farlo, generando anche imbarazzanti processi televisivi con giustizia sommaria. Mi riferisco ad un capostipite del genere noir e cioè al "Delitto di Cogne" di vent'anni fa con quel povero Samuele, un bambino di soli tre anni, ucciso con un colpo alla testa da una mamma assassina, Anna Maria Franzoni, condannata a sedici anni per l'omicidio da lei mai ammesso.

La donna ha scontato sei anni di carcere e cinque di detenzione domiciliare, estinguendosi la pena in anticipo per buona condotta e dunque è tornata libera dal 2018. Di recente è stata segnalata in vacanza sul luogo del delitto, nella tristemente famosa villetta di Montroz, come se nulla fosse, ed ora il ventennale ha fatto risorgere quella vicenda, ridandole smalto. Quella tarda mattinata del 30 gennaio 2002 ero in ufficio, benché fosse il primo dei due giorni della "Sant'Orso". Come deputato della Valle d'Aosta avevo già fatto un giro alla Foire e stavo occupandomi non so bene di cosa. Ricevetti una telefonata che mi avvertiva che ad un bambino piccolo a Cogne era esploso il cervello. Rimasi stupefatto e solo più tardi da qualche amico cronista ebbi maggior contezza dei fatti, senza immaginare che quella storia sarebbe rimasta in piedi per mesi e poi per anni. Ricordo la mia rabbia quando il plastico della casa del delitto fu protagonista di un "Porta a Porta" con ascolti record con il conduttore storico Bruno Vespa - ancora lì oggi - che fece una serie eccessiva di trasmissioni sul caso, assecondando il gusto del brivido dei telespettatori. In queste ore ci ritorna "Crime+ Investigation" su "Sky", cercando di sfruttare un fenomeno che attira audience a colpo sicuro. Resterà sempre il mistero del perché ci fu già allora questa illogica curiosità, che pare ancor oggi persistere con incredibile seguito. Personalmente ricordo che la famosa Franzoni la vidi una volta sola al funerale del piccolo nella chiesa di Cogne e mi stupii che fosse fresca di parrucchiere in un momento così doloroso. Quel che è certo, nella marea montante nel seguire il delitto di cronisti e esperti vari, è che si fece la caricatura di una comunità di montanari. Neppure il peggior giallista avrebbe potuto mettere assieme stupidaggini e banalità frammiste a teorie bislacche e talvolta offensive. Il vecchio sindaco di allora, Osvaldo Ruffier, diventava sempre più magro e sofferente di fronte a questa storia che investiva la sua comunità su cui furono gettati sospetti e maldicenze. In questi anni, a dimostrazione di una morbosità popolare, ci sono stati persino turisti dell'orrore a visitare i luoghi, come se si trattasse di chissà quale attrazione meritoria di una visita. Pensavo che il tempo sarebbe stato la giusta medicina e che un meritato oblio avrebbe avvolto quella storiaccia. Invece il ricordo, con tanto di anniversario ventennale largamente diffuso, è tornato a galla come una maledizione. Mi spiace molto e mi pare che i ricordi dei fatti e del circo mediatico che si sviluppò possano finalmente cedere il posto al silenzio per un fatto che purtroppo non ha avuto nulla di eccezionale. Di infanticidi cruenti per mano di madri ce ne sono stati tantissimi e ancora, purtroppo, ce ne saranno. Che del "Delitto di Cogne" non si parli più.