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22 gen 2021

Il male di vivere nella pandemia

di Luciano Caveri

Viene in mente un celebre verso di Eugenio Montale: «Spesso il male di vivere ho incontrato». Di questi tempi ci rimugino sopra e che ci sia questa aria lo dicono gli esperti, che di queste cose ne sanno. Esiste un malessere che si sta diffondendo dopo tanti mesi, fatto di alti e bassi, illusioni e disillusioni, aperture e chiusure. Ho fatto diversi tamponi e l'attesa dell'esito misurava in modo diverso il tempo. Il tampone molecolare era una attesa più lunga e preoccupata in cui ti figuri i due scenari, positivo e negativo. Quelli rapidi segnano minuti nervosi con il colore che cambia con il responso. Ma anche la socialità si è trasfigurata. Dietro la mascherina talvolta non conoscevi i volti nascosti e se li conoscevi bene perdevi quegli aspetti sensoriali di una stretta di mano, di un volto sfiorato e neppure il sorriso poteva segnare la complicità.

Lo schermo di un video, magari in un remoto con tanti visi e lo spegnere e accendere l'audio e l'immagine, è diventata una nuova dimensione dello spazio, modulata talvolta dalla bontà o meno del collegamento. Mancano i luoghi, gli amici, le abitudini e le novità in un appiattimento della vita con il senso di frontiere sempre più strette, prima il mondo che si chiude, poi l'Europa, poi l'Italia, la Regione, il Comune e infine la casa. Un senso crescente di chiusura che toglie il fiato e blocca gli orizzonti. E quando cammini per strada e cambi marciapiede se incontri qualcuno, non avvicini tua madre anziana per paura, stai in ospedale e scruti gli altri in sala d'aspetto. Sono scenette di vita vissuta e talvolta non ti sembra di vivere una vita e se te ne lamenti ti sembra di essere misero nelle tue lamentele con chi ha perso per la malattia i propri affetti o ha sofferto la paura di morire. Ascolti gli scienziati in televisione in questi programmi che ti fanno venire apprensione e scopri come dicano spesso cose diverse e questo preoccupa, perché sono loro che dovrebbero rassicurarci e invece ci assale ancor più l'angoscia. Poi incontri chi fa lavori che sono fermi e loro sono chiusi persino come persone e scopri il senso di vuoto, la mancanza di certezze e di prospettive. Talvolta avverti il limite raggiunto, persino la soglia di povertà che li attanaglia e ti senti impotente perché non cercano la carità. L'autocertificazione da stampare e da completare è stata un paranoia, sempre a controllare che non ce ne fosse una versione nuova. Il Carabiniere mi ammonì quando dissi che ero reduce da mia mamma anziana con il suo: «Ma lo sa che dagli anziani non si deve andare!». Ognuno ha avuto ed avrà in questa pandemia che entra e esce dalla nostra esistenza come un tormentone invadente che mette a dura prova il nostro equilibrio o, come si dice oggi, la nostra resilienza. Per questo insieme di situazioni e sentimenti capisco perché in tanti stanno male nelle loro teste e perché, anche nella piccola Valle d'Aosta in tanti si devono fare curare ed è cresciuto il numero dei suicidi. Pensavo in quest'ore a quell'amico di infanzia, ironico e intelligente, che ha perso così un figlio e non sai cosa fare e neppure cosa dire. Se non pensare al già citato "male di vivere", più propriamente da mettere al plurale: "mali di vivere". Ognuno al suo, più piccolo o più grande, pericoloso o persino letale, che ci accompagna in questo misto fra intolleranza crescente e mancanza di un futuro con qualche certezza. Speriamo finisca presto.