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11 nov 2019

Le neiges d'antan

di Luciano Caveri

Ci sono stati anni in cui è nevicato poco sulle Alpi. Poi, nelle ultime stagioni, è andato meglio con qualche preferenza, alternata, fra sud e nord o est e ovest, ma un pochino la neve si è ripigliata in generale. Confesso di aver tirato un sospiro di sollievo soprattutto per i miei figli, costretti ad alcune annate brulle, nel senso tutto mio di "senza neve", che mettevano tristezza. Non dico che si sia tornate quelle che possono essere chiamate le "neiges d'antan", cui tanti di noi associano ricordi d'infanzia di nevicate epocali. Mentre il significato esatto dell'espressione, nella celebre poesia di François Villon («Mais où sont les neiges d'antan?»), riguarda la nevicata di un solo anno prima a Bruxelles. Capisco che è deludente, ma è così. Era esattamente l'inverno del 1511 e scrive di questo evento un professore universitario belga, Paul Verhuyck: "Cet hiver fut si sévère que les habitants bâtirent plus de cent poupées de neige par-ci par-là dans la ville; ce n'étaient pas tout à fait nos bonshommes de neige rudimentaires et enfantins, mais de véritables sculptures artistement ciselées dans la neige gelée". Uno spettacolo incredibile: con statue ispirate alla mitologia greca e latina, a personaggi biblici e popolareschi. Chiunque conosca il centro di Bruxelles e specie l'antica Grand-Place, riconosciuta "Patrimonio mondiale dell'umanità" dall'Unesco, non può che baloccarsi all'idea, pensando ai magnifici edifici delle corporazioni e a quell'insieme architettonico rappresentato dall'Hôtel de Ville di Bruxelles, la cui costruzione data degli inizi del XV secolo (1402). Quindi in quell'inverno una parte c'era già! Alcuni indizi (pigne sugli alberi, comportamenti di marmotte e ungulati) vengono letti da miei amici come fattori decisivi. Io ci ho creduto e ho cambiato le gomme, mettendo quelle da neve, in un battibaleno. E alla macchina del caffè - luogo di socialità per eccellenza - ho vantato doti di vero connaisseur di fronte alle prime nevicate autunnali, mette come un annuncio dell'avverarsi delle ormai fatte mie profezie nevose. L'amato dizionario etimologico mi aiuta nel dire di come la neve abbia sempre espressioni graziose e l'origine è declinata assieme alla rappresentazione della ricchezza linguistica: "latino di provenienza indoeuropea: lat. nĭve(m) (nomin. nix) - panromanzo: a.fr. noif (fr. neige, der. di neiger "nevicare"), occit. cat. neu, sp. nieve, port. neve, sardo nie, rum. nea. Il lat. nix nĭvis ha numerosi confronti: gr. nípha (accus.), a.alto ted. sneō (ted. Schnee, ingl. snow), lit. sniẽgas, a.slavo sněgŭ (russo sneg), gall. nyf.". Ho lasciato le abbreviazioni perché comprensibili. Il dizionario "Chenuil-Vautherin" ricorda il francoprovenzale "nei" nella sua straordinaria espressività, perché un popolo di montagna deve saper dire in modo chiaro di che neve si tratti, nelle sue diverse varianti. Non mi infilo nei proverbi, essendocene per tutti i gusti e dimostrano come le stesse previsioni non seguano sempre un filo logico. Allora diciamo che la mia, più che una previsione, è una speranza.