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06 nov 2019

I cittadini fra retroscena e "fake news"

di Luciano Caveri

Mi ritrovo sempre più spesso a leggere articoli frutto di retroscenismo e cioè di ricostruzioni che riguardano in particolare il mondo politico. Si tratterebbe nella "versione buona" di offrire al lettore delle informazioni dietro le quinte che anticipino gli eventi o squarcino il velo su operazioni ancora in corso che siano avvolte dalla riservatezza o peggio ancora da logiche omissive. Nulla di scandaloso, se non si eccede nella voglia di stupire e se non si aggiungono al piatto troppi condimenti per renderlo più saporito o peggio si rovista - in senso figurato - nella spazzatura. Ci vuole poco con certi comportamenti ad uscire dal seminato, entrando nel terreno della falsificazione. Alla fine, così facendo, non si rende un buon servizio alla comunità, perché non si tratta più - come dicevo - di svelare aspetti tenuti nascosti o di rivelare mosse che siano utili per capire, ma di una manipolazione dei fatti.

Esiste, nelle "fake news" in campo politico (un tempo si dicevano "bufale" o peggio "notizie del diavolo"), un intento cosciente di disinformazione e questa è una consapevolezza che bisogna diffondere. Informazioni farlocche e senza fonti hanno all'origine un intento preciso: convincere l'opinione pubblica di certe cose, riuscendo - e questa è una novità rilevante rispetto alla lunga storia di certa informazione farlocca sempre esistita - attraverso la fenomenale cassa di risonanza dei "social" a rendere così diffusa una falsità da trasformarla in credibile, difficile da smontare e da sradicare dalla testa di chi ne è caduto vittima. Certo travisamento avviene in evidente violazione di elementari regole di deontologia professionale dei giornalisti, quando sono ideatori attivi o passivi di certe operazioni. Un'informazione libera e consapevole dei propri diritti e doveri è uno di quegli indicatori che dimostrano l'esistenza della democrazia. Poi, visto che siamo sul terreno reale e non in un mondo perfetto, è evidente come il giornalismo non sia chiuso in una stanza asettica, i giornalisti non siano dei santi, i soldi per le imprese non crescano sugli alberi e la rete di interessi di vario genere non siano un grazioso roseto. Ma certi limiti, se oltrepassati, non vanno tollerati. E' intollerabile un giornalismo travestito da indipendente che striscia invece nel fango dei "si dice", del pettegolezzo, del dileggio e soprattutto dell'impostura. Il disgusto si accentua quando, nel caso della piccola Valle d'Aosta, mi ritrovo in grado individuare con agevolezza, per buona conoscenza del milieu, le ricostruzioni artefatte sino a capire da dove originino e dove e chi vogliano colpire. Triste storia davvero, che obbliga a stare sul chi vive e dimostra come la democrazia sia una macchina delicata, che parte dalla speranza di un meccanismo partecipativo che ruota attorno ad un cittadino vigile e consapevole e non certo ad un cittadino portato in giro come foglia al vento da chi, in modo ormai scientifico, è in grado di trasformarlo in un burattino.