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05 nov 2019

Per cimiteri

di Luciano Caveri

Ho visitato nella mia vita bellissimi cimiteri e confesso di farla quasi sempre una visita di questo genere nei miei giri, che siano gitarelle o viaggi veri e propri. Esiste qualche cosa di istruttivo, naturalmente con il rispetto dovuto per i luoghi e le persone lì sepolte, perché esempio mirabile delle diverse civiltà espressione dell'animo umano in tutti i Continenti. Alcuni erano persi nella campagna come dei camei nella natura, altri a picco sul mare spesso di un bianco candido, ho ammirato cimiteri monumentali con lapidi e cappelle di pietra e marmi e naturalmente ho visto da noi sulle Alpi cimiteri che sembrano oasi di pace non solo eterna. Vale la riflessione di Emil M. Cioran: «Alla minima contrarietà, e a maggior ragione al minimo dispiacere, bisogna precipitarsi nel cimitero più vicino, dispensatore immediato di una calma che si cercherebbe invano altrove. Un rimedio miracoloso, per una volta».

In tanti Paesi ho constatato numerose varianti a conferma, tuttavia, di come, in tutte le epoche, partendo da quelle più remote, la sepoltura sia stata una grande preoccupazione, che si dimostri fastosa e solenne, piena di significati che accompagnassero al proprio aldilà cangiante secondo la fede del defunto, ma anche ultime dimore semplici, che segnino con una croce o altro simbolo l'ultima tappa del passaggio terreno sulla nuda terra. Una curiosità e un interesse che suonano consolatori e lo ricorda l'epitaffio sulla tomba di Marcel Duchamp: "D'ailleurs c'est toujours les autres qui meurent". Per me in questi giorni di commemorazione dei defunti erano, quando ero piccolo e andavo per cimiteri a rendere omaggio a chi contava per la mia famiglia, momenti di una certa angoscia. Da una parte - diciamoci la verità - che questi momenti siano fissati in autunno non penso proprio che sia un caso: nessuna stagione ha una carica così emotiva. Penso alla "Chanson d'automne" di Paul Verlaine ed alla loro nostalgica sonorità: «Les sanglots longs Des violons De l'automne Blessent mon coeur D'une langueur Monotone.

Tout suffocant Et blême, quand Sonne l'heure, Je me souviens Des jours anciens Et je pleure

Et je m'en vais Au vent mauvais Qui m'emporte Deçà, delà, Pareil à la Feuille morte».

Dall'altra - in questa mia infanzia - appariva questa Morte come uno spettro immanente e pensavo che le persone care potessero morire da un momento all'altro e mi assalivano certe paure, che poi svanivano finito questo rito antico che finiva per essere un momento sociale. Incontravamo in questi luoghi che da silenziosi e piuttosto solitari si riempivano di gente non solo meditabonda, ma affannata in mille lavoretti, amici e conoscenti e, fronte tombe, si finiva per raccontarsela e persino ridere e scherzare, visto che mio padre amava in modo arguto fare battute. Ed è quanto avviene persino in certe visite di cortesia per segnare il morto, quando il decesso non è stato causato da chissà quale tragedia e ci si ferma a parlare con il povero cadavere in vista e si chiacchiera, se non si è dietro il carro funebre per obblighi parentali, anche durante le meste sfilate per accompagnare il morto alla sepoltura. Quando tutto finisce, almeno da noi, si va a bere un bicchiere assieme in memoria dello scomparso e non è solo usanza comunitaria ma anche omaggio postumo a chi se n'è andato, che vale anche per riflettere - come consolatorio retropensiero - che non è stato ancora il tuo turno.