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07 set 2019

Le Consorterie: assieme per la montagna

di Luciano Caveri

Mi è capitato in passato di sentirmi dire, rispetto allo Statuto d'Autonomia valdostano ed alle competenze esclusive in capo alla nostra Valle, che cosa diavolo fosse quella lettera "o" che si occupa di "usi civici, consorterie, promiscuità per condomini agrari e forestali, ordinamento delle minime proprietà culturali". Non si sa bene chi spiegò ai costituenti la necessità di citare le "Consorterie" (potrebbe essere stato mio zio Séverin Caveri, allora presidente della Valle, che ben conosceva la materia) e questa decisione permette oggi al legislatore regionale di occuparsi a fondo di tracciare un nuovo quadro giuridico adatto ai tempi come conseguenza non solo di una legislazione obsoleta, ma anche di una riqualificazione derivante da una recente e illuminata legge dello Stato. Occasione, a margine della questione, per riprendere quella regionalizzazione del Catasto, che è stata disattesa, malgrado una norma di attuazione dello Statuto del 2007, cercando magari di avere un sistema probatorio come avviene a Trento e Bolzano.

In premessa ricordo che queste Consorterie - un tempo circa 450 in tutta la Valle - sono un'eredità antica del mondo agricolo risalente al Medioevo ma con radici ancora più profonde, che disegnano una forma di gestione del territorio e delle sue risorse diversa da quel Diritto romano in cui la proprietà è privata o pubblica, mentre qui siamo in una posizione intermedia che sembra richiamare principi federalisti che rinveniamo oggi, come principi, nella cooperazione e nel mondo del Terzo settore. Così scrive uno dei massimi esperti del settore, Silvio Rollandin: «Le Consorterie della Valle d'Aosta fanno parte di quella grande famiglia che, a livello nazionale, sono i così detti domini collettivi i quali assumono nomi diversi nelle varie regioni italiane: Consorterie (Valle d'Aosta); Comunelle, Vicinie, Interessenze (Friuli); "Asuc" (Amministrazioni separate di uso civico del Trentino); Regole (Veneto); Società di antichi originari (Lombardia); Comunanze agrarie (Emilia); Partecipanze (Parma e Umbria); Comunioni familiari montane (Toscana); Università agrarie (Lazio) ed altro ancora. I domini collettivi sono caratterizzati da tre elementi:

  1. da una comunità (proprietaria del bene) individuata nella collettività locale, in genere gli abitanti di uno o più villaggi;
  2. da un bene materiale, ossia la terra di collettivo godimento intesa come ricchezza non solo economica, ma anche naturale, estetica, paesaggistica e culturale (ecosistema completo). Trattasi in genere di ampi appezzamenti di terra a destinazione agro-silvo-pastorale, ma a volte anche di un forno frazionale, di un mulino, di una latteria, di un corso d'acqua eccetera;
  3. infine da una finalità che è l'uso e l'amministrazione collettiva del bene stesso (così detto elemento teleologico): fine che va oltre e trascende gli interessi delle singole persone che compongono la comunità. Fine che imprime a sua volta al bene la natura demaniale con conseguente inalienabilità, indivisibilità, inusucapibilità dello stesso e, per i terreni, la perpetua destinazione agro-silvo-pastorale. I beni collettivi sono considerati dalla legge numero 168/2017 come una proprietà inter-generazionale (articolo 1 comma 1). La legge 168/2017 infine attribuisce la personalità giuridica di diritto privato agli enti esponenziali delle collettività titolari della proprietà collettiva (articolo 1 comma 2)». Questa legge nazionale obbliga la Regione ad intervenire con una nuova legge, con una chance da sfruttare per la ripartenza delle Consorterie valdostane, ora in via di estinzione con rare eccezioni, come le ben radicate e importanti Consorterie di Ayas. Va ricordato come nei decenni passato la tendenza nazionale, che avevo combattuto a Roma da deputato, era fatta da proposte ben diverse, che miravano addirittura a sopprimere questi diritti collettivi che coprono - cito sempre Rollandin «circa il dieci per cento della superficie agricola nazionale e trovano nell'arco alpino la loro massima estensione. Secondo i dati "Istat" l'82 per cento del demanio collettivo è ubicato in montagna, il sedici per cento in collina ed il due per cento in pianura». Si capiscono gli appetiti di chi, Comuni o privati, volevano inglobare questi terreni e sono rimasti ormai con un palmo di naso se questi diritti collettivi dimostreranno la necessaria vitalità in un mondo rurale che purtroppo anche in Valle d'Aosta è in difficoltà con diminuzione di aziende e percentuale sul "Pil" regionale che certo non corrisponde proprio al prezioso ruolo degli agricoltori nel mantenimento di un territorio altrimenti abbandonato e pericolosamente inselvatichito. Ampie zone lo sono già, purtroppo e esiste lo spettro di riduzione dei fondi compensativi europei senza i quali spariranno le aziende montane. Di questi temi si è parlato in un incontro a Cogne. La mia tesi è che la Consorterie sono depositarie non solo di una gestione collettiva della montagna ma anche su esperienze e saperi preziosi che contrastano gli eccessi di individualismo in un ambiente ostile che obbliga alla condivisione e alla messa in comune dei beni. Nulla di nostalgico verso piccole comunità travolte dalla modernità, ma strumenti che seguono quel che diceva Seneca «Nessun bene senza un compagno ci dà gioia», che valorizza una logica di bene comune e di interesse collettivo. Viatico prezioso sulle Alpi che vedono i ghiacciai esaurirsi, i boschi travolgere i pascoli, molti allevatori abbandonare gli alpeggi, l'arrivo dei predatori come lupo e orso che sconvolgono le abitudini. Così le Consorterie, esempio di democrazia che ci arriva dal passato remoto, possono essere utili, sapendo che non potrà essere questa istituzione ad occuparsi di quello che considero il nodo centrale per la sopravvivenza dei piccoli Comuni montani e della Valle intera. Mi riferisco alla terribile crisi demografica in corso che porterà a esito finale lo spopolamento di molte nostre vallate e verrebbero meno la mano e il cervello dell'uomo sul nostro terroir. Il montanaro che regimenta le acque, garantisce la manutenzione del suolo, consente il passaggio alle nuove generazioni della cultura e delle competenze indispensabili per chi abita l'Alpe e senza di lui saranno guai e in più la montagna crollerà sulla pianura.