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02 set 2019

Tengo per Lard e reines

di Luciano Caveri

Giorni fa ho avuto modo di leggere e di stupirmi di una lettera contro la "Festa del Lard d'Arnad" e contro le "Batailles de Reines" di un'animalista militante che - guardando sul Web - è avvezza ad attaccare manifestazioni come le due appena citate. Non cito nome, cognome e associazione perché sarebbe pubblicità gratuita. Per altro in genere ammiro chi sposa qualunque causa, ma sarebbe bene che chi lo fa conoscesse bene gli argomenti e francamente sono stufo dei "pasdaran dell'antispecismo" di cui mi sono già occupato. E' legittimo allevare animali che non sarebbero neppure viventi se non facessero parte della catena alimentare, come i maiali, se non con il mantenimento di qualche raro esemplare da compagnia? Se vincessero i vegani non ci sarebbe più neanche una mucca negli alpeggi e nelle stalle valdostane, perché nessuno mangerebbe formaggi e carne e nessuno terrebbe mandrie come abbellimento della Natura. Chiara la follia estremistica?

Se le "reines", mucche combattenti, non seguissero un loro istinto, nessun allevatore potrebbe costringerle a combattere! Ma di cosa parliamo, se non di chi si fissa sul partito preso e insolentisce storie millenarie di addomesticamento animale? Trovo deteriore che una minoranza chiassosa diventi minacciosa - ormai evidenti in Francia - e con fenomeni come aggressioni a macellai e azioni di stampo terroristico nei macelli. Sono costretto a citare di nuovo un libro, che è "Singe toi-même" di Alain Prochiantz, "neurobiologiste, administrateur du Collège de France, titulaire de la chaire Processus morphogénétiques", dal che si capisce perché molte pagine hanno un taglio scientifico non abborracciato e con uno spessore culturale che poco ha a che fare con chi si limita a masticare ideologismi con megafoni e cartelloni di protesta. Ma la direzione è chiara e competente sin dalle prime pagine: «Certains aujourd'hui mènent donc un combat idéologique sur la question animale, y compris à travers des positions antispécistes qui, sans nier forcément les distinctions entre espèces, attribueraient à toutes les espèces une sorte d'égalité ou de "droit à la parole". On peut en prendre acte, mais on peut aussi considérer, c'est mon cas, que de refuser que soient infligées des souffrances gratuites aux animaux ne met pas ceux-ci au même rang que les humains victimes de préjugés et discriminations dont chacun sait les niveaux d'horreur auxquels ils peuvent mener». Aggiunge sul ruolo nostro, del sapiens, nell'equilibrio fra le diverse specie: «Position résultant d'un cerveau monstrueux qui l'a poussé, pour ainsi dire, hors de la nature, l'en a comme privé, tout en lui conférant un pouvoir sans précédent sur la nature à laquelle il ne cesse d'appartenir puisqu'il en est le produit évolutif». E motiva più avanti: «Qu'il s'agisse de langage (syntaxe et grammaire), de pensée symbolique, de réflexion sur soi-même, de planification à long terme, de mémoire autobiographique, de théorie de l'esprit, d'activités artistiques et littéraires, de croyances plus ou moins superstitieuses comme les religions, les humains ont des performances sans commune mesure avec celles des chimpanzés, pourtant les singes qui leur sont les plus proches génétiquement». E ancora: «Bref, si nous sommes bien des singes, plus précisément des primates anthropoïdes, nous sommes quand même des hominines, les seuls qui restent depuis la disparition de neanderthalensis et des dénisoviens, ce qui fait de nous une espèce à part dans un lignage séparé de celui des chimpanzés et des bonobos (Pan troglodytes et Pan paniscus) depuis sept millions d'années». Ma quel che ci differenzia l'uomo è la capacità di accumulazione del sapere: «Le caractère incrémentiel des cultures humaines, chaque génération reprenant l'ouvrage là où la précédente l'a laissé, ce qui nous distingue fortement de tous les autres animaux, chimpanzés et bonobos compris, n'est pas une idée nouvelle et je me dois ici de rappeler ces quelques lignes d'Henri Bergson tirées de "L'Évolution créatrice": "Or, chez l'animal, l'invention n'est jamais qu'une variation sur le thème de la routine. Enfermé dans les habitudes de l'espèce, il arrive sans doute à les élargir par son initiative individuelle; mais il n'échappe à l'automatisme que pour un instant, juste le temps de créer un automatisme nouveau: les portes de sa prison se referment aussitôt ouvertes; en tirant sur sa chaîne il ne réussit qu'à l'allonger. Avec l'homme, la conscience brise la chaîne... Il le doit à son langage, qui fournit à la conscience un corps immatériel où s'incarner et la dispense ainsi de se poser exclusivement sur les corps matériels dont le flux l'entraînerait d'abord, l'engloutirait bientôt. Il le doit à la vie sociale, qui emmagasine et conserve les efforts comme le langage emmagasine la pensée, fixe par là un niveau moyen où les individus devront se hausser d'emblée, et, par cette excitation initiale, empêche les médiocres de s'endormir, pousse les meilleurs à monter plus haut"». L'esito è spiegato qui in modo chiaro: «C'est à partir de cette étrangeté qui est la nôtre, d'être des singes chez lesquels un petit nombre de mutations en sept millions d'années, une broutille au regard des trois milliards d'années de l'évolution du monde vivant, a permis un destin cognitif monstrueux, qu'il nous faut maintenant réfléchir à ce que cela implique quand on se met dans la perspective d'une "politique de la nature". Car notre place dans la nature, à la fois dehors et dedans, "anatures par nature" - ne peut pas se traduire en termes des droits que les uns ou les autres, humains et non-humains, vivants et inertes, peuvent avoir. Il n'y a pas de droits dans la nature, sinon les lois sans pitié de la lutte pour la vie, mais plutôt des devoirs que pourrait, si nous en décidions ainsi, nous imposer notre nature humaine; vis-à-vis de nous-mêmes, on peut l'espérer, mais aussi vis-à-vis de la Terre et de ses autres habitants, pour nous limiter égoïstement à notre petite planète». Insomma chi gioca con l'animalismo dovrebbe capire la posizione dell'essere umano. Aggiungo dal "Foglio" di qualche anno fa cosa diceva Francesco D'Agostino, filosofo del diritto ed allora presidente onorario del "Comitato nazionale di bioetica": «prima di tutto va distinto un animalismo che definirei "spontaneo", sempre più diffuso nel buon senso comune, e un animalismo dottrinale e teorico: è quest'ultimo ad essere davvero pericoloso e, direi, addirittura ripugnante. Il primo è il semplice atteggiamento di chi vede negli animali creature del buon Dio. Quando, a livello di esperienza comune, sentiamo esprimere dolore per un animale domestico morto che magari ha tenuto compagnia per anni ad una persona, dobbiamo pensare che questo atteggiamento è un fortissimo antidoto contro la crudeltà». Prosegue: «L'animalismo che chiamerei "del buon senso comune" è un ottimo antidoto alle pulsioni di crudeltà, che possono essere smussate quando si ha un rapporto con un animale domestico. E' la ragione per cui ai bambini fa bene avere un animale, sotto il controllo dei genitori. Un bambino che si abitua ad aver cura di un animale ne ha sicuramente ottimi benefici, perché entra in rapporto con un essere di cui impara che non è una macchina e verso il quale impara anche a essere responsabile». Cambia poi registro per l'atteggiamento teorico e estremista: «La più imperdonabile colpa degli animalisti teorici è infatti quella di negare la differenza, di perdere il senso della diversità umana, per appiattire il rapporto uomo-animale in chiave "sensista": anche gli animali soffrono, quindi siamo uguali». L'uguaglianza siamo noi a trasmetterla e a teorizzarla e questo significa essere attenti e rispettosi. Come ha spiegato il teologo Vito Mancuso sulla necessità di essere più attenti al mondo animale: «nessun altro essere vivente può concepire tale emancipazione, solamente l'uomo lo può, mostrando in questo di essere ben al di là della vita animale. Gli animalisti, con il loro volere per gli animali gli stessi diritti dell'uomo, mettono in atto un comportamento che li distanzia al massimo dal mondo animale. Se gli esseri umani lottano per estendere agli animali gli stessi diritti dell'uomo non è quindi perché non c'è differenza tra vita umana e vita animale, ma esattamente al contrario perché tra le due vi è una differenza qualitativamente infinita». Il contrario è cadere nel ridicolo di quegli estremisti - e ci sono! - che invitano a non fare più figli per far scomparire la razza umana, perché cattiva e colonizzatrice. Robe da matti!