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04 ago 2019

Il delitto di Roma e il tempo sospeso

di Luciano Caveri

Scrivo quasi sempre di argomenti di attualità che abbiano una forte ricaduta sull'opinione pubblica per la semplice ragione che trovo utile annotare quanto mi colpisce. Sinora non l'ho fatto sulla morte drammatica del giovane Carabiniere campano ucciso al centro di Roma da un ragazzo americano in modo brutale con un coltello da combattimento, che pare si fosse portato dietro da casa (come diavolo ha fatto a passare i controlli di sicurezza degli aeroporti?). Non si tratta di un'omissione, ma di una scelta: la dinamica dei fatti, che emerge in parte solo oggi, aveva e in parte ha ancora elementi da definire nello svolgersi di questa serata di bagordi di due ragazzi californiani, conclusasi con una collutazione con due Carabinieri dall'esito fatale. Mancano ancora elementi per mettere a fuoco le diverse figure coinvolte in quel sottobosco di spacciatori ben noti e forse troppo tollerati.

Molte storie, oltre alla necessità appunto di capire bene quanto avvenuto e su cui ruoterà di sicuro il processo che verrà, si incrociano in questa vicenda. La prima riguarda il clima in cui ci si trova. Sono stati improvvidi coloro che, sulla base delle prime notizie, si sono scaraventati con la fretta per apparire sui "social" contro i migranti, che parevano essere gli autori materiali del delitto. L'apparizione sulla scena di due californiani ha scompaginato ogni utilizzo strumentale del tema che ormai è centrale nelle paure di molti italiani, quello di una migrazione incontrollata e vastissima che minaccerebbe come un'orda selvaggia la sicurezza dei cittadini. I dati dicono cose diverse, ma questo conta poco: l'impronta ormai è quella e chi cavalca questo "sentiment", che è del tutto esistente e palpabile, è destinato al successo elettorale. La seconda è la storia che riguarda l'arresto e l'interrogatorio dei ragazzi con quella foto di uno dei due, scattata in caserma nelle prime fasi, in cui si vede imposta all'inquisito una benda sugli occhi e le sue mani sono legate dietro la schiena. Un'immagine violenta, anch'essa messa sui "social" in un gruppo ristretto di appartenenti all'Arma, e uscita poi con grande clamore anche internazionale. Ovvio che negli Stati Uniti, dove immaginano in troppi l'Italia come un Paese retrogado, si sia segnalata questa violenza con grande scandalo ed oggettivamente lo è in uno Stato di Diritto. Poi si potrebbe discutere se gli USA possano fare la morale agli altri sulle condizioni di detenzione in caso di arresto, ma non sarebbe una giustificazione per quanto avvenuto a Roma. Ha ragione Fiorenza Sarzanini sul "Corriere della Sera", quando osserva: «In realtà parlare della foto serve a denunciare un abuso e dunque a dimostrare che l'Italia è un Paese dove i diritti di tutti, anche di chi è in custodia, sono garantiti. Serve ad evitare che gli indagati possano denunciare un "ingiusto processo". Serve, per garantire a Rosa Maria Esilio che lo Stato per cui suo marito ha perso la vita, troverà i colpevoli dell'omicidio e li punirà secondo la legge». La terza considerazione riguarda il degrado di città come Roma, certamente peggiorata nel tempo anche sotto l'amministrazione penosa dei pentastellati capitanati da quella dilettante del sindaco Virginia Raggi, che dimostra come sia facile fare i criticoni e ad ergersi a moralisti contro gli altri, ma alla prova di governo tutto si sfarina e si scopre la pochezza dei "protestatari", quando si tratta di amministrare. Ancora in una recente visita nella Capitale l'ho trovata peggiorata. Sulla delinquenza si possono fare discorsi muscolosi e grandi promesse, ma poi alla fine quel che conta sono i fatti e l'Italia resta un Paese dove la grande criminalità e la microcriminalità inquietano e questi timori generalizzati sono intollerabili. Ma resiste una considerazione generale che riguarda questa questione dell'ordine pubblico, così come tutto il resto e vale anche per la piccola Valle d'Aosta dove si vivacchia per paura delle elezioni con maggioranze strampalate. Per affrontare io problemi ci vuole stabilità. Lo ha scritto il costituzionalista Michele Ainis su "La Repubblica", in un passaggio con un'autorevole citazione: «"La nostra storia costituzionale - osservò Norberto Bobbio - si è svolta attraverso un continuo alternarsi di crisi di governo (spesso molto lunghe) e di governi in crisi (spesso molto brevi)". I numeri ne offrono la prova. Esecutivi durati appena nove giorni (Andreotti, febbraio 1972), crisi di governo che s'aggrovigliano per mesi, fino al record di 125 giorni (quando cadde Dini, nel 1996). Tuttavia ogni crisi ha una scaturigine e una fine: viene innescata da un voto di sfiducia o dalle dimissioni del presidente del Consiglio; e presto o tardi si conclude con le elezioni anticipate o con il giuramento d'un nuovo gabinetto. Invece la pre-crisi non comincia, non sgorga da alcun atto specifico, e quindi non finisce. Galleggia in un tempo sospeso, come i sogni, o meglio come un incubo notturno». Questo "tempo sospeso", nella nostra Regione reso ancora più ridicolo con un cronoprogramma pieno di ambizioni che non corrispondono alla fragilità della maggioranza appesa ad un voto, rende tutto difficile e bisognerà, come a Roma, prenderne atto.