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15 lug 2019

Ciao ciao "Maggiolino"

di Luciano Caveri

Non ci sono storie. Se devo pensare alla macchina per eccellenza non posso che evocare - come in una seduta spiritica - il "Maggiolone" decapottabile (cabrio) di mio fratello Alberto. Ricordo alcune volte l'onore di salire su quest'auto scoperta - ho in memoria un giro sulla Riviera di Ponente lungo l'Aurelia fra Diano Marina ed Alassio - quando ero poco più di un ragazzino, mentre lui, con cinque anni più di me, era già ventenne. Quell'auto aveva un carburatore doppio corpo e ricordo che nei sorpassi partiva a razzo, consumando un pezzo di una petroliera. Ma intendiamoci, la bellezza di quella macchina, arretrata appunto l'elegante capotte beige sul bianco della scocca, erano i capelli al vento e la radio (all'epoca estraibile...) che diffondeva quella musica con la quale era subito estate. Improvvidamente mio fratello la vendette e se l'avesse tenuta in garage oggi avremmo una macchina d'epoca straordinaria, oltretutto con un valore da capogiro.

A me il "Maggiolino", che evoca per la forma il celebre coleottero, era sempre piaciuto e mi riporta alla memoria un personaggio straordinario con il quale fino alla fine - mancò ad Aosta a 93 anni nel 2007 - ho avuto un rapporto di amicizia. Era infatti Giuseppe Valdengo, baritono di fama internazionale, il mio insegnante ai tempi delle medie, quando si era trovato a fare il prof di musica a Verrès, dove io ero studente. Una vera ingiustizia per un Maestro del suo rango, amato dal grande Arturo Toscanini (che lo chiama scherzosamente «balòss»), che per il suo carattere franco e certe verità che ebbe il coraggio di dire sul mondo dell'Opera si trovò nell'esilio valdostano. Qui, nella Saint-Vincent che amava, fece crescere molti allievi e visse una vita di persona amata e riconosciuta proprio per quel suo spirito libero e quel suo umorismo sagace. Cosa c'entra con il "Maggiolino"? C'entra perché era proprietario di un "Maggiolino" verde sfavillante, che guidava - allora ultracinquantenne - come un ragazzino birichino dalla guida spericolata ed il sorriso che sfidava il mondo. Quella macchina era in stile con i suoi farfallini su belle camicie quella parlata sciolta con noi allievi somari. Per questo, leggendo Vincenzo Borgomeo su "La Repubblica" sulla fine definitiva del "Maggiolino" di cui cesserà la produzione, mi sono reso conto di come se ne vada un pezzo del mio passato, per fortuna di quelli piacevoli che scaldano il cuore. Così scrive il giornalista: «Esce di scena quel "Maggiolino" che è riuscito ad essere l'auto simbolo degli anni Quaranta, Cinquanta, Sessanta. Ma anche Settanta, Ottanta e Novanta e del nuovo millennio rimanendo sulla breccia per più di ottanta incredibili anni. Numeri, numeri e ancora numeri. Per capire: il "Maggiolino" è stato prodotto in quasi 22 milioni di esemplari. Bisogna essere sotto il minimo sindacale d'intelligenza per non rendersi conto che questa "Volkswagen" ha segnato per sempre la storia del nostro secolo. E non solo dal punto di vista automobilistico, ma anche da quello sociale, umano, addirittura filosofico. Quella della piccola "VW" è la storia di Davide e Golia, dei piccoli che con poche forze battono i grandi, la rivincita delle idee insomma. Un successo dovuto a due colpi di genio del suo inventore Ferdinand Porsche: motore posteriore boxer raffreddato ad aria e trazione posteriore. Pianale portante e uno spazio enorme per pilota e passeggeri. Oggi sembra una banalità, ma allora fu una grande intuizione. E come tale nacque: la leggenda vuole che lo stesso progettista gettò d'impulso i primi schizzi su pezzi di carta usati. Tecnica, audacia, formidabile coraggio. Siamo in pieno Reich nazista ma anche se Hitler vuole l'auto del popolo, il "Maggiolino" deve la sua straordinaria longevità e modernità non ai nazisti ma alla genialità del suo progettista. Chi pensa (e scrive) che questa "Volkswagen" sia figlia del Führer sbaglia di grosso: questa è una storia d'amore. Per il design, per la meccanica. Per il popolo: di fatto nasce la prima vera auto per tutti. E alla portati di tutti». Per altro se quest'auto inizia la sua vita in pieno nazismo la vera e propria produzione arriva nel 1945 e il successo esplode nel 1946 e questa macchina attraversa, come si diceva, i decenni successivi e diventa una macchina cavallo fra due secoli e due millenni. Ormai è un pezzo da museo e queste auto storiche rendono allegri quei raduni di "Maggiolini", ad esempio ogni anno ad Antey-Saint-André, in cui alla fine - messe tutte in fila - queste auto sembrano davvero degne del famoso "Maggiolino Tutto Matto" e da un momento all'altro ti aspetti chissà quale loro mattana!