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15 lug 2019

La Valle d'Aosta e il "punto di non ritorno"

di Luciano Caveri

C'è una poesia di Pablo Neruda che bisognerebbe tenere in buona evidenza sul proprio computer o strumenti simili, visto che ormai è questo che troneggia nella nostra vita. Recita così: «Alzati e guarda il sole nelle mattine e respira la luce dell'alba. Tu sei la parte della forza della tua vita. Adesso svegliati, combatti, cammina, deciditi e trionferai nella vita; Non pensare mai al destino, perché il destino è il pretesto dei falliti».

Come tutti nella quotidianità oscillo fra ottimismo e pessimismo, fra pensieri colorati e quelli grigi: credo che sia la nostra condizione di esseri pensanti, che devono al peso e alla qualità del cervello questa capacità errabonda che è il ragionamento.

Eppure, pensando alla piccola Valle d'Aosta e alle sue vicende politiche che stremerebbero anche il più paziente dei cittadini, ne vorrei scrivere ancora per poi - lo giuro - prendermi una pausa di qualche giorno con temi diversi. Vorrei dire che sono stufo di due aspetti, che trovo profondamente ingiusti e che alla fine hanno un effetto depressivo sulla nostra comunità. Il primo è il "lamento-piagnisteo", che ha le sue diecimila ragioni di essere e non è solo frutto della nostalgia che rende il passato più bello nei ricordi. Eppure esiste un livello di guardia da non oltrepassare per evitare che ci sia, infine, un innesco autodistruttivo che crea un effetto domino che rende tutto più difficile e più complicato. Ogni giorno, nel lavoro di comunicazione che svolgo così come nella sfera delle mie conoscenze, incontro uomini e donne di ogni età e di diverse condizioni sociali e convinzioni politiche che - qui in Valle d'Aosta - mi riempiono il cuore. Questo avviene perché trovo persone che hanno voglia di fare, che non si abbattono, che sperano e sognano, che realizzano e intraprendono. Non cedono alla scelta latente del mugugno perenne, del "j'accuse" verso gli altri ed alla deriva della sfiducia e della demoralizzazione. E' per loro e con loro che bisogna continuare a guardare in alto e non in basso e che bisogna dimostrare fiducia in sé stessi. Questo non significa "perdonismo" ed è sempre un bene fare i conti con gli aspetti negativi che si sono manifestati nella società e nella politica valdostana, ma bisogna altresì sapere che solo una reazione positiva e fattiva può farci dimenticare quanto avvenuto, sapendo bene che chi ha sbagliato deve pagare con la giustizia e con la morale. Ma in fondo piegarsi alle circostanze, fare di ogni erba un fascio, cedere alla tentazione distruttiva non serve e sarebbe umiliante proprio per la storia valdostana nel suo complesso che, pur fatta di alti e bassi e di pagine chiare e scure, ha tutte le risorse per poter pensare positivo. Il secondo è la tentazione alla Robespierre di fare della politica una sorta di "Regime del Terrore". Come si chiamò durante la Rivoluzione francese, in cui lo strumento principale diventa quello di lavorare in modo violento - verbalmente ed a colpi di denuncia - sui propri avversari politici sino alla ghigliottina vera o virtuale. Ripeto che non si tratta di immaginare formule di "assoluzione", "indulto", "grazia", "condono", "sanatoria" (usate il termine che preferite) verso chi, occupandosi di Cosa pubblica, è caduto in tentazione in modo più o meno grave. Ma si tratta semmai di capire quali siano i confini fra Politica e Giustizia, distinguendo i ruoli, e bloccando quelle macchine che producono fango che rischia alla fine di seppellire tutto e tutti e dare dell'Autonomia valdostana solo un'immagine negativa che travolge ogni aspetto esattamente opposto. Non è accettabile la politica solo della carta bollata, della denuncia perenne e cieca, degli eccessi verbali per fare colpo su quella fascia di elettori dalla bocca buona che godono dei gossip e delle truculenze. Non è questione di educazione o di bon ton ma davvero di sostanza nei comportamenti, perché superato un certo livello tutto rischia di diventare come un continuo e distruttivo bombardamento al napalm. Non è il mio un predicozzo stucchevole ed "usa e getta", perché purtroppo certe situazioni che scivolano senza mai fermarsi portano ai famosi "punti di non ritorno", quando, in senso figurato, scocca quel momento oltre il quale non è più possibile tornare indietro, interrompere un'azione o un processo in corso. Condizione che una volta raggiunta diventa irreversibile e per l'Autonomia sarebbero guai seri.