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20 mag 2019

Vedere e ancora vedere

di Luciano Caveri

Avere tre figli di diversa età (Laurent ed Eugénie ventenni, Alexis otto anni) consente di guardare alle generazioni più giovani con un ampio spettro, che diventa ancora più vasto perché da "padre tardivo" con una moglie, Mara, di vent'anni più giovane di me, finisco comunque per frequentare trentenni e quarantenni sia per i doveri genitoriali che per la cerchia di amicizie. E' un esercizio interessante, cui si aggiungono, beninteso, i miei coetanei con cui ci si incontra per lavoro (alcuni sono già pensionati!) e per diletto, avendo infine un osservatorio sui problemi degli anziani con mia mamma quasi novantenne, che offre uno spaccato ancora diverso e da capire di questa nostra società. Trovo che questa gamma di età a confronto sia un utile esercizio intellettuale stimolante, perché consente di misurare dal vivo quanti cambiamenti intervengano.

Faccio qualche esempio, cominciando dai bambini. Un fatto certo è che sono meno liberi di quanto io lo fossi alla loro età. Allora eravamo meno soggetti alle attuali vigilanze occhiute: nei cortili sotto casa ed in un vasto circondario (nel mio caso di un paese relativamente piccolo) ci si poteva muovere - sempre con mille raccomandazioni - ma senza l'attuale presenza continua degli adulti. Esempio banale: nessuno avrebbe pensato di portarci e riprenderci a scuola alle elementari. Se si doveva andare a trovare un amichetto si veniva responsabilizzati e lo stesso avveniva per andare a giocare nella neve con gli amici o se si andava a fare un giro in bicicletta nelle campagne. Cambiamo scenario con questi ventenni che trovo seri e responsabili, nella contraddizione però con un adolescenza che tende ad espandersi con quella categoria "giovani" che si allarga senza un "tetto" di età che sia fissato con una qualche certezza. Ma questo stato non si riflette in quegli amori cangianti della mia giovinezza, quando da ragazzini - come prove generali dei rapporti sentimentali - si facevano delle prove, pigliandosi e lasciandosi, sino poi a trovare situazioni stabili. Oggi esiste una certa attitudine monogamica e le "compagnie" mi paiono meno una palestra a cielo aperto di educazione sentimentale. Per contro - salto di generazione - chi viaggia fra i trenta ed i quaranta registra un numero impressionante di coppie non sposate, malgrado la presenza di figli, per fortuna tutelati dalle riforme del diritto di famiglia. Chi è sposato e chi non lo è viene accomunato da un tasso impressionante di coppie che si lasciano, così la separazione diventa, con le famose "famiglie allargate", uno dei segni profondi del tempo con conseguente modifica della famiglia come istituzione tradizionale. Noi, i sessantenni, siamo smarriti fra la smania di andarsene in pensione per la paura di rinvii continui di quel traguardo e la consapevolezza che questa eventuale uscita avviene con conoscenze accumulate e una bella prospettiva di vita che rischia di privarci di certe soddisfazioni nel lavoro. Oggi, con il fuggi fuggi della "quota cento", vedo molte attività con buchi spaventosi di savoir faire, senza che per le dinamiche del mercato del lavoro con la precarizzazione dei giovani che dovrebbero subentrare ci sia stato quel passaggio necessario di know-how. Pratica che in passato esisteva. E poi - a chiudere queste sommarie osservazioni - gli anziani sempre più anziani e problematici nell'ultimo tratto della vita. Quella "quarta età" che vedo in mia madre, che è un invecchiamento complicato e lo sarà ancora di più se non ci si prepara in prima persona in un quadro sociale e politico che sottostima problematiche e costi. Mi scuso per questo breve giro attraverso le generazioni, ma osservare il mondo che cambia è una buona pratica. E bisogna farlo con la molla della curiosità. José Saramago ha scritto: «Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, la pietra che ha cambiato posto».