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20 mag 2019

Un tunnel per la Mongiovetta

di Luciano Caveri

L'attuale "Mongiovetta", tratto "difficile" lungo la "Statale 26" in territorio valdostano, fu realizzata, a totali spese del Duché d'Aoste, nel 1771, e logica fu quella di facilitare il commercio e lo sfruttamento delle acque termali di Saint-Vincent, come ricorda l'incisione sulla lapide che sovrasta i primi tornanti. Quaranta lire dell'epoca furono spese proprio per far incidere sulla roccia in latinorum quanto segue: "Caroli Emanuel III Sard. Regis invicti auctoritate. Intentatam Romanis viam per aspera Montis Iovis iuga ad faciliurem commerciorum et thermarum usum, magnis impensis patefactam Augustani perfecerunt a MDCCLXXI – Regni XLII". Questa medesimo passaggio roccioso venne "aggirato" nell'Ottocento con la sottostante galleria ferroviaria (un sistema vecchio, inadatto all'elettrificazione, poco sicuro in caso di incidente e in parte in pericolosa "zona rossa") e negli anni Sessanta vennero costruite in analogia le gallerie autostradali (di cui si prevede finalmente il rifacimento per ovviare all'obsolescenza che innesca problemi di sicurezza).

Invece la "Statale" ha continuato ad inerpicarsi grossomodo sul tracciato storico settecentesco. Nel tempo è cresciuto il traffico veicolare di tutti i generi, specie negli ultimi anni a causa dei costi esorbitanti dell'autostrada, che hanno intasato la strada a dismisura anche in quel pezzo più impervio. Ma la grana più grossa sta nell'instabilità rocciosa della zona a monte, ben documentata dai geologi, compresi quelli regionali obbligati a mappare il territorio, e finalmente "Anas" ha effettuato un intervento molto forte di protezione in corso da molti mesi, dopo il rifacimento di un ponte con analoghi tempi biblici e disagi enormi per chi viaggia. Ma queste opere non appaiono risolutive per la messa in sicurezza, coprendo - come sta avvenendo - le pareti minacciose con una ragnatela di reti protettive, per evitare incidenti in cui ci scappasse il morto e se non è mai avvenuto è proprio stata solo una gran fortuna. Sono contento di questa messa in sicurezza tardiva, il cui impatto visivo ferisce dal punto di vista paesaggistico una delle zone più caratteristiche del nostro panorama. Ma se ne capisce la ragione: reagire ai pericoli, che giustificano la somma urgenza senza troppe logiche di pianificazione e senza lo studio necessario di alternative. Tuttavia mi permetto di osservare che questa soluzione tampone avvenuta nel 2019, pur ispirata da ragioni di prudenza e come reazione a possibili incidenti, non basta. Bisogna realizzare una galleria che consenta di evitare le zone più a rischio caduta massi e il possibile tunnel va esattamente in questa direzione anche per sveltire i tempi di percorrenza sempre peggiori lungo la strada. Non si tratta di un'opera ciclopica e risulterebbe ben più importante di certe rotonde costruite di recente o in via di costruzione. Ma nessuno da Aosta pare più seguire a Roma con l'attenzione necessaria le opere pluriennali "Anas" sul nostro territorio, che sembra seguire propri disegni imperscrutabili e non riesce neppure - per fare un esempio - a dare tempi certi per la ripresa della variante sulla "Statale 27" verso il tunnel del Gran San Bernardo (dove chissà dove sarà sparito il tunnel di sicurezza in costruzione da anni per adeguarsi alle norme comunitarie). L'eventuale chiusura del Compartimento "Anas" in Valle (incostituzionale perché nacque con norma di attuazione dello Statuto, che è strumento giuridico "rinforzato") sarebbe solo l'ultimo atto di uno svuotamento di competenze già in corso da tempo in diversi settori e segno del centralismo romano, lesivo della nostra Autonomia speciale. Ma questa è l'aria dei tempi con poteri e competenze che stanno finendo nel tritacarne dal disprezzo centralista, anche per le troppe incapacità della politica locale nel reagire a questo immiserimento del ruolo della nostra Regione autonoma. Piano piano i nostri diritti vengono calpestati e le reazioni sono deboli e imprecise: o avverrà qualcosa di concreto oppure ci troveremo sempre più in una logica di impoverimento colonialistico sul quale nessuno si potrà piangere addosso.