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18 ott 2018

Quando l'informazione è sotto attacco

di Luciano Caveri

Sono ormai - maledizione! - uno dei più vecchi giornalisti professionisti della Valle d'Aosta, visto che faccio questo lavoro dal 1979, anche se l'esame di Stato arrivò qualche anno dopo. Ho dunque quasi - mancano tre mesi... - quarant'anni di lavoro e anche se per ventidue anni ero stato in aspettativa politica dalla "Rai", fra il 1987 ed il 2009, avevo continuato a scrivere ed a fare radio ed ormai da quasi vent'anni ammorbo i miei lettori nell'impegno quotidiano sul mio blog caveri.it, che mi dà molte soddisfazioni. Quando ero ventenne, fui il primo presidente della "Associazione Stampa Valdostana", staccatasi dalla "Subalpina" di Torino e modificai la legge ordinistica da deputato per dare vita all'Ordine della Valle d'Aosta. Solo per dire dell'affezione che ho sempre avuto non solo per questo lavoro ma anche per la comunità di colleghi di cui faccio parte.

Di fare il giornalista lo sognai fin da ragazzo durante i primi cimenti al microfono e ricordo le prime emozioni di vedere le proprie cose stampate. Non santifico la categoria professionale cui appartengo: un pochino di sano spirito corporativo ci sta ma i giornalisti appartengono alla categoria "esseri umani" e come tali ce ne sono di vari tipi, compresi buoni e cattivi, capaci e incapaci, onesti e disonesti. Da politico - dall'altra parte della barricata - ho apprezzato molte volte la competenza e anche lo spirito critico di colleghi che scrivevano di quanto facevo nella mia attività, ma talvolta - sarebbe ipocrita non riconoscerlo - ho avuto esperienze sgradevoli con chi intingeva la penna nell'inchiostro della malevolenza o manipolava - a beneficio di altri - quanto io facevo, distorcendo la realtà. Quando ho querelato - cosa che non farei più, perché preferisco il disprezzo - ho visto scelte della magistratura incomprensibili nella sostanza e persino nella forma, perché la libertà di stampa è sacrosanta, ma credo che ci siano limiti nel rispetto delle persone e ci deve essere un'oggettività nell'attività informativa proprio per la sua delicatezza. Scriveva Gaetano Salvemini, che fu giornalista ed anche politico: «Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere». Ciò detto seguo con viva curiosità e apprensione certi attacchi virulenti che, con particolare forza da parte dei pentastellati al Governo, colpiscono gruppi editoriali e singoli giornalisti in un clima di eccessi verbali ed atteggiamenti minacciosi che non mi piacciono per nulla. Scrive su "L'Espresso" - uno dei giornali più "odiati" - il giornalista Marco Damilano: "Alla fine, è tutta colpa dei giornali. Lo ha scritto il vicepremier del governo Giuseppe Conte, il manciuriano Luigi Di Maio sul blog del "Movimento Cinque Stelle": «"La perfetta manovra maldestra", "Sull'euro una partita pericolosa" (Corriere), "Mattarella, primo stop al governo", "I diritti dopo di noi" (Repubblica), "La classe media dimenticata" (La Stampa), "La tassa di cittadinanza" (Il Giornale). Tutti i giornali di partito hanno dichiarato guerra alla "Manovra del Popolo" perché fissa il deficit per il prossimo anno al 2,4 per cento. Il PD e Forza Italia non riescono a fare un'opposizione politica e quindi con i loro giornali creano terrorismo mediatico per far schizzare lo spread sperando in un altro colpo di Stato finanziario: sono degli irresponsabili nemici dell'Italia». Ecco dunque svelati i veri nemici del popolo, i nemici dell'Italia: i giornali, anzi, "i giornali di partito", tutti insieme. In questa convinzione il ministro e numero due del governo, di cui il numero uno Conte è in realtà sottosegretario dei suoi vice, come ha detto l'anziano saggio Rino Formica, conferma di essere un politico di vecchio stampo e di scarsissima fantasia. Arrivati dalla parti di Palazzo Chigi, furono contro i giornali e il loro disfattismo tutti i suoi predecessori o quasi, compresi i più recenti, a partire dall'odiatissimo Matteo Renzi che invocava la categoria del disfattismo per bollare gli avversari. In questo caso, il "Governo del Cambiamento" non ha cambiato nulla, come in tutto il resto, a parte alcune argomentazioni da Ventennio che mettono in rete i volenterosi candidati al neoministero della Cultura popolare: «Da giorni i giornali paventano bancarotte ed abissi, denigrano i capi politici gialloverdi per minarne la credibilità. Gli investitori non conoscono lo stato da terzo mondo in cui versa la stampa italiana e non sanno che se i fascisti non stanno affatto tornando nel Belpaese, in compenso gli sfascisti non se ne sono mai andati... Il compito degli sfascisti della stampa è quello di raccontare la svolta gialloverde italiana per quello che è invece di spargere badilate di concime ai quattro venti...», scrive uno di questi aspiranti Starace, instancabile distributore di veline agli odiati giornali". A peggiorare il quadro la ola di cattiverie e vituperi che si sviluppa attraverso i "social", che non è sempre la spontaneità dei cretini del gregge, ma ormai segue logiche molto attente - davvero da algoritmi - che consentono la diffusione di cattiverie e notizie false con il solo intento di far male ai bersagli e creare sconcerto in quella parte di opinione pubblica che non ha gli strumenti per distinguere le cose. Talvolta basterebbe - per non cadere nella... Rete - avere sale in zucca.