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08 ott 2018

Il peso delle parole

di Luciano Caveri

«Noto in Italia - scriveva a inizio Novecento Benedetto Croce ad un giovane Giovanni Laterza - una sorta di ebetudine, bisogna avere fiducia nell'avvenire e coraggio nel presente. Passerà». Il "secolo breve" si è poi caratterizzato, purtroppo, per avvenimenti terribili e orrori indicibili che hanno reso la speranza espressa nella frase null'altro che un'illusione smentita dai fatti e anche in questo nuovo secolo del nuovo millennio c'è, per ora, poco da stare allegri. Chissà se passerà, perché è rimasta, quella "ebetudine" (oggi diremmo "stupidità", ma talvolta l'ottusità è utile paravento) che alimenta da noi un clima di scontri che sta ammorbando tutto in barba ad ogni regola di civile convivenza.

Partendo dalla Politica, che insiste nell'affondare nella palude, si riversa sulla società e si verifica l'amplificazione sui "social" in tempo reale (neanche più il tempo di pensare o di verificare le fonti, come avviene con le "fake news"!) di un eccesso di parole gridate, che danneggia tutto per i toni e per il contenuto. Questo non vale solo come veleno nei rapporti, ma può fare danni - come sta avvenendo per l'economia italiana - con annunci estemporanei di ministri e parlamentari che turbano i mercati, cui bisognerebbe chiedere i danni per quanto ciò peserà sul benessere dei cittadini. Ma la maggior parte dei colpevoli se la cava con battute di spirito anche quando i mercati e la Borsa crollano e si indicano - come alibi condito da vittimismo - nemici e complotti. Spesso basterebbe si guardassero allo specchio. Scriveva Sigmund Freud: «Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice un altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l'insegnante trasmette il suo sapere agli studenti, con le parole l'oratore trascina l'uditorio con sé e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo generale con cui gli uomini si influenzano reciprocamente». Osservava in un articolo di qualche anno fa (e forse nel frattempo la situazione è peggiorata) la docente di semiotica Giovanna Cosenza sul suo blog segnalando un paradosso, che partiva dal linguaggio politically correct: «non diciamo più "handicappati" ma "disabili", non più "spazzini" ma "operatori ecologici", non più "negri" ma "neri" o "persone di colore". Per non parlare delle acrobazie linguistico-simboliche con cui cerchiamo di consolare le donne della loro discriminazione sociale ed economica, particolarmente più grave in Italia che in altri paesi sviluppati: "care colleghe e cari colleghi", "care/i colleghe/i", "car collegh" e via dicendo. Ma se da un lato ci esercitiamo in circonlocuzioni "politicamente corrette", dall'altro siamo pronti, oggi più di ieri, a usare la lingua in modo sbracato: turpiloquio, espressioni colorite, colloquiali e gergali hanno ormai invaso anche gli ambienti più colti ed elitari - dall'università all'azienda, dalla politica alle istituzioni - nell'idea che "parlare come si mangia" implichi maggiore autenticità ed efficacia del parlar forbito. Un'idea confermata tutti i giorni dai media, specie dalla televisione, dove l'aggressività linguistica è diventata per molti (giornalisti, star, ospiti) un vezzo, un fatto di stile. E in quanto tale fa tendenza e si riproduce ovunque, dai salotti chic ai flaming su Internet. Non è facile trovare un equilibrio fra questi due poli: da una parte, infatti, le formule politicamente corrette non bastano a costruire il rispetto che pretenderebbero di esprimere, ma restano spesso una semplice facciata, dietro alla quale si possono camuffare le peggiori tendenze razziste, omofobe e sessiste; d'altra parte è vero anche che la sciatteria linguistica può implicare sciatteria esistenziale e relazionale". Trovo che questo malvezzo sia crescente anche in Valle d'Aosta e molti politici sono portatori del virus, quando invece l'esempio dovrebbe venire dall'alto, sapendo che il momento è difficile e certi appelli all'unità d'intenti - specie nella famosa "area Autonomista" - sono scritti con l'inchiostro simpatico e spariscono appena è utile. Spesso viene fatto proprio con la logica di essere popular e quindi di usare logiche - scusate la brutalità - da "cazzeggio", in altri casi esce fuori la vera indole e l'ignoranza di regole elementari di bon ton, ma c'è anche chi - non avendo il coraggio di dire come stanno le cose - cerca argomenti per "rompere" con gli altri per il proprio tornaconto ammantato dall'interesse generale. Sarà ora che si torni ad avere rispetto e attenzione a come si usano le parole e si sia più franchi nelle proprie determinazioni, togliendo certe fumisterie e smettendo l'uso delle polemiche utilizzate più come piede di porco per scardinare le cose che per progredire alla ricerca di soluzioni a vantaggio della comunità intera e non solo dei propri elettori. Nessuno chiede, nella legittima tenzone politica, di abbassare le armi o di abbassare la testa, ma penso che abbassare i toni non sia per nulla avvilente e farebbe riacquistare punti a molti dei protagonisti. Ciò vale per chiunque abbia il compito di governare o di fare opposizione.