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10 ott 2018

Gli interrogativi sull'autonomismo valdostano

di Luciano Caveri

Domani si terrà un Congresso dell'Union Valdôtaine, movimento che ho lasciato ormai da alcuni anni e ritengo ancora oggi, senza alcun pentimento o rimpianto, di avere avuto in quelle situazioni delle valide ragioni per farlo. Certo, questa rottura non avvenne a cuor leggero perché molto della mia vita è passato di lì sia nella mia storia personale che in quella della mia famiglia. «Partir, c'est mourir un peu», scriveva il poeta Edmond Harauncourt, ma - come si dice - «quando ci vuole ci vuole» e visto il contesto, la diaspora degli unionisti, che fossero personalità, militanti o semplici iscritti e simpatizzanti, prima e dopo la mia scelta, è stata come un fiume in piena lastricato, anche in questo caso, di buone ragioni.

Questo però non significa affatto dimenticare i bei momenti (ho una memoria selettiva più che in positivo che in negativo) e si sa quanto le vicende del passato siano davvero come uno zaino che ci portiamo sulle spalle e ci fa essere oggi quel siamo, con i nostri pregi e i nostri difetti, e influenza il nostro domani se non sappiamo interpretare gli insegnamenti. Scriveva il grande scrittore montanaro Mario Rigoni Stern: «La memoria è determinante. E' determinante perché io sono ricco di memorie e l'uomo che non ha memoria è un pover'uomo, perché essa dovrebbe arricchire la vita, dar diritto, far fare dei confronti, dar la possibilità di pensare ad errori o cose giuste fatte. Non si tratta di un esame di coscienza, ma di qualche cosa che va al di là, perché con la memoria si possono fare dei bilanci, delle considerazioni, delle scelte, perché credo che uno scrittore, un poeta, uno scienziato, un lettore, un agricoltore, un uomo, uno che non ha memoria è un pover'uomo. Non si tratta di ricordare la scadenza di una data, ma qualche cosa di più, che dà molto valore alla vita». E' oggettivo il senso attuale di generale insoddisfazione dei valdostani verso la politica del mondo autonomista, evidenziato dal disagio e dall'incomprensione verso le spaccature continue e dai continui ribaltamenti di posizione («oggi a te, domani a me»), dal voto alle urne rivolto altrove dopo anni di grandi numeri (con astensionismo alle stelle), dall'impressione di una diminuzione del benessere (e da bilanci sempre più striminziti), dalla mancanza di grandi disegni di prospettiva e senza progetti e sogni non si campa. Non si tratta di reagire con il "volemose bene" o con dei minestroni scipiti e resta il solito problema da dove partire per ripartire: chi vuole farlo dall'alto, chi dal basso, chi confidando in un penchant popolare chi valorizzando le élites, chi aggregandosi su vecchi simboli, chi immaginando nuove forme di unificazione sotto una bandiera rinnovata. Ognuno di noi ha scritto documenti, articoli, espresso pensieri, partecipato a incontri più o meno clandestini, ne ha parlato nei bar, nei corridoi, negli uffici. Tanti scritti, molte parole e poi emerge - con comprensibili ragioni - la sacralità della Regione e degli scranni di Giunta (in primis della sempre più scottante, viste le scarse finanze e certi nodi istituzionali, sedia di presidente della Regione) e del Consiglio Valle come elemento cardine attorno al quale tutto ruota. Questo incrocio fra - da una parte - elementi contingenti, grandi problemi reali da risolvere prima che si incancreniscano, ambizioni personali spesso offuscanti e - dall'altra - i tempi più lenti e pensosi dei ragionamenti, della ricerca di cosa unisca e delle strade da percorrere per mettere assieme i cocci sembra non essere mai sincronizzato, per cui alla fine ci sono argomenti di facciata e si prosegue solo sulla strada della Politica come amministrazione. Scelta possibile ma che restringe gli ambiti. Per cui, alla fine, siamo destinati a momenti congressuali degli uni e degli altri come messe cantate, ma manca il passaggio nei confessionali per poter vedere se e come si possa esprimere un'assoluzione e intendo la remissione dei peccati che consenta "l'idem sentire de republica" (cioè gli elementi di omogeneità politica che legano i valdostani che lo vogliano) e non la dichiarazione d'innocenza di un accusato. Sarebbe bene riflettere, nella tempestosa situazione italiana e romana e nelle molte incertezze che ne derivano e che si infrangeranno sulla nostra Autonomia mai così fragile e vulnerabile per molte ragioni, sugli ammonimenti derivanti dall'uso del "latinorum". Il «Dum Romae consolitur, Saguntum expugnatur», frase che si può parafrasare con «mentre a Roma si delibera, la Valle d'Aosta viene espugnata». E' tempo di agire - e non solo sul famoso "dossier Casinò"... - evitando di perdere tempo in inutili discussioni ed iniziare finalmente a dare risposte concrete ai problemi dei valdostani. La sostanza ormai è capire se si è in grado di fare sistema e ritrovare fiducia reciproca, uscendo solo dalle logiche di Palazzo. Il "Palais régional" era un tempo simbolo dell'Autonomia e della comunità, mentre oggi il "Palais" viene purtroppo visto con sospetto e con piena assonanza quel termine problematico di cui scriveva nel 1975 Pierpaolo Pasolini, distinguendo «dentro il Palazzo» e «fuori dal Palazzo», ergendo il Palazzo a simbolo negativo del Potere. Mai come in questo momento la classe politica che si definisce "Autonomista" deve riappropriarsi del proprio ruolo. Deve essere capace di realizzare una nuova sintesi, nel rispetto delle proprie specificità ma non in una logica esclusivista che precluda alleanze. Questo per permettere ai valdostani che hanno valori simili e visioni comuni di poter finalmente ritrovare fiducia in una area politica Autonomista ben cosciente delle proprie responsabilità.