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12 set 2018

Caffè!

di Luciano Caveri

Credo di avere bevuto pochissimi caffè fino a trentacinque anni. Forse perché l'avevo assaggiato da bambino e non mi era piaciuto, per quanto in famiglia il consumo fosse notevole. Avevo cominciato a berne qualcuno di più o alla "buvette" di Montecitorio o nei thermos nelle Commissioni parlamentari, specie nelle lunghe sedute notturne, in particolare per le leggi Finanziarie. Era un uso terapeutico, perché la caffeina mi dava una scossa e certo proprio a Roma esistono bar, come il famoso "Sant'Eustachio", a fianco alla celebre basilica ed a due passi dal Senato, con lo zucchero caramellato nella tazzina, che non si possono perdere. Poi nel tempo l'uso sociale del caffè ha avuto il sopravvento anche nella mia vita nelle modalità più diverse. Curioso è il fatto, ad esempio, che nelle Istituzioni europee sia di prammatica, nel corso delle sedute di lavoro, l'arrivo dei commessi con caffè o thè distribuito in tazze di porcellana a tutti i partecipanti. Ma certo il fenomeno più macroscopico sono le macchinette negli uffici, che hanno certamente limitato le "fughe" per bersi un espresso al bar.

Ho vissuto per anni a Verrès, dove il profumo della torrefazione - prima "Coinca" e poi "Lavazza" - faceva parte ormai del paese ed il fatto di non sentirlo più, con la chiusura della fabbrica, mi fa arrabbiare, pensando che "Lavazza" avrebbe voluto impiantare in paese, nell'area "ex Balzano", lo stabilimento per le cialde su cui avevo raggiunto un accordo, disatteso dai miei successori in Regione con il danno di vedere chiusa anche la fabbrica che già esisteva. Leggo con curiosità l'arrivo in Italia di una catena che frequento negli altri Paesi del mondo. Scrive il "Corriere della Sera": "Più che un negozio è la celebrazione del caffè. Visto che nel "Palazzo delle Poste" in piazza Cordusio, nel pieno centro di Milano, Howard Schultz ha addirittura portato l'industria della miscela: una gigantesca torrefazione targata "Starbucks" che dal capoluogo lombardo servirà il prodotto in tutta l'Europa del Sud. (...) «Abbiamo dedicato anima e corpo a ogni metro quadrato. Arriviamo con umiltà e rispetto nel Paese del caffè. Ma convinti di essere i migliori. Ho passato la mia vita a studiare questo progetto», dice l'imprenditore di "Starbucks", pronto per l'inaugurazione questa sera con il sindaco Giuseppe Sala, il sovrintendente della "Scala" Alexander Pereira e l'imprenditore Brunello Cucinelli. Un espresso costa 1,80 euro, seduti o in piedi. Chi va da "Starbucks" non lo fa solo per bere in fretta un caffè ma per vivere un'esperienza e imparare. E' stato un investimento importante: molti milioni di dollari, l'assunzione di trecento giovani, la loro formazione. Milano è la pietra angolare di un progetto che prevede altre aperture". Capisco che si tratta di un'americanata e che si propongono anche caffè strani per i nostri palati (e sempre incandescenti!), ma ci si abituerà perché i costumi si evolvono. Per altro gli americani non inventano nulla, perché il clima ospitale di "Starbucks" riprende certi caffè mitteleuropei da Vienna a Trieste (il caffè nero!), dove la lettura dei giornali è momento sacro. Caffè che proprio con Trieste ha un feeling, anche grazie al punto franco del porto dove si sdogana la materia prima, e a quella famiglia Illy - io ho conosciuto Riccardo, che era in politica - che si è diffusa nel mondo e ricordo con simpatia quel barista a Dubai che mi fece bere sei caffè "Illy" per dimostrare di avere raggiunto la perfezione con i corsi aziendali. Segnalo ancora la presenza in Valle d'Aosta di piccola torrefattori a dimostrazione che spazi di nicchia esistono ancora e ci si può affezionare alla propria miscela. Altro caso di scuola è l'aspetto quasi grottesco, pensando all'espresso italico che vanta un'evidente primogenitura che aveva potenziali quasi monopolistici, della "Nespresso", che si trova a due passi da noi, nella Svizzera Romanda e il cui giro d'affari mondiale supera i cento miliardi di dollari. La storia di "Nespresso" è più o meno la seguente: nel 1976 "Nestlè" dominava il grande mercato del caffè istantaneo con il suo marchio "Nescafè", ma risultava debole nei segmenti del caffè tostato e in polvere. In quello stesso anno Eric Favre, un giovane ricercatore dei laboratori di ricerca "Nestlè", registrò il primo brevetto per il sistema "Nespresso", progettato per colmare il gap fra le macchine per espresso e i sistemi basati su capsule, con l'obiettivo di riuscire a produrre comodamente un caffè con la qualità richiesta dai bar e ristoranti. Esperienza finita maluccio. Comunque sia, nel 1986 "Nestlè" creò "Nespresso SA", una società controllata che avrebbe dovuto cominciare a promuovere il sistema presso gli uffici, a supporto di un'altra joint venture produttrice di macchine per caffè (sempre di proprietà "Nestlè"). Anche quell'attività si dimostrò zoppicante. Due anni dopo, "Nestlè" nomina Jean Paul Gaillard amministratore delegato di "Nespresso", ed è lui a stravolgere completamente il modello di business dell'azienda con due modifiche drastiche: "Nespresso" sposta la sua attenzione dagli uffici alle famiglie ad alto reddito e comincia a vendere direttamente per posta le capsule di caffè. Una strategia di questo tipo era stata finora assolutamente impensabile per "Nestlè" che, tradizionalmente, si rivolgeva al mercato di massa attraverso canali distributivi al dettaglio. Questo nuovo modello si dimostra invece vincente. Io sono fra quelli che ordina ormai on line le cialde, che assumono colori e dizioni sempre vari e fantasiosi. In seguito comincia a vendere online ed a creare dei negozi al dettaglio di alto livello, direi lussuosi, in location di pregio, come gli Champs-Élysées a Parigi o la location a due passi dal Duomo di Milano, oltre a creare punti vendita all'interno dei grandi magazzini di fascia alta. Si tratta di boutique lontane chilometri dalla tradizionale vendita, come appunto si trattasse di un bene di lusso. Intanto le macchinette da ufficio, con le medesime tecnologie, si sono diffuse capillarmente, sapendo che il rito del caffè è un affare mica da ridere. Gaillard poi se ne andò, fondando in Alta Savoia - tra mille difficoltà per i brevetti "Nespresso" - "Ethical Coffee" con capsule biodegradabili e compatibili. Società che di recente ha lasciato e si può dire che il braccio di ferro con la sua vecchia società "Nespresso" non è andato a suo favore in un intrico di cause legali. Beviamoci sopra un caffè. E mi vengono in mente le strofe scherzose di una celebre canzone, curiosamente in napoletano, di Fabrizio De André: «Ah che bell' 'o cafè pure in carcere'‘o sanno fâ co' â ricetta ch'a Ciccirinella compagno di cella ci ha dato mammà».