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08 ago 2018

Animalisti e Reines

di Luciano Caveri

Nell'ottobre scorso, in vista della finale delle "Batailles de reines", fecero sentire la loro voce degli animalisti intenzionati a protestare in favore delle bovine e contro gli allevatori che le sfrutterebbero con i tradizionali combattimenti. Mi permisi, con un certo successo, di immaginare una lettera scritta direttamente loro da una "reina". Ne riporto, come memoria, solo l'inizio, ora che - nella recente eliminatoria di Etroubles - si sono riaccese le proteste, segno di molto tempo libero di chi decide di passare una domenica a insultare i valdostani e le loro tradizioni: «Gentili animalisti, mi chiamo "Guerra" e sono la Reina vincitrice della prima categoria (cui appartengo per il mio peso, che domenica era di 745 chili) della finale 2016 delle "Batailles de reines" svoltasi ad Aosta. Ho saputo che al grido di «allevatori di merda, pubblico di merda» siete venuti a manifestare fuori dall'arena della "Croix Noire" in difesa di noi bovine con strane bandiere e curiosi cartelli neri».

«Grazie alle Forze dell'ordine presenti - continua la "lettera" - ma forse la mia è una considerazione bovina, visti gli insulti così pesanti, a diventare "neri" avreste rischiato di essere voi, se allevatori e pubblico avessero reagito alla vostra maleducazione e alla violenza insita in questa vostra folkloristica - la vostra, non la nostra - manifestazione. Non so bene che cosa voi sappiate dei "combats" fra noi Reines, ma forse sarebbe bene che passaste qualche tempo con noi o in una confortevole stalla dove abitiamo oppure - ancora più suggestivo - in uno di quei pascoli alpini dove trascorriamo le nostre estati con le nostre colleghe meno titolate. Vedreste cosa resta di una pratica antica, quella dell'allevamento del bestiame autoctono, erede della domesticazione dei bovini, che sulle Alpi valdostane è avvenuta già nel Neolitico, come dimostrato da ritrovamenti importanti, che potrebbero addirittura retrodatare l'uso dell'aratro con trazione animale. E i miei avi, come quelli dei valdostani di oggi, erano già lì, ormai entrati in simbiosi con la società umana, cui hanno fornito per millenni carne, latte, pelli, forza motrice e fertilizzanti. Quella "merda" di cui forse voi ignorate l'importanza e da cui bravi panificatori hanno ricavato nel tempo quel lievito madre che ci ha dato anche il pane. Par di capire che la vostra foga derivi dall'idea che noi siamo come burattini nelle mani di cinici allevatori che, per soddisfare loro voglia di spettacolo, ci fanno battere fra di noi per un feroce divertimento. Saremmo in sostanza delle "sfruttate" in una visione antropocentrica che voi rigettate in difesa di noi poveri animali. Forse sfugge allora la nostra storia: se già le "vatse" ("mucca" in patois) sono così importanti per i valdostani da coniare decine di aggettivi che descrivono i nostri caratteri ("pouëraousa", "argoillausa", "saye", "foula"...), noi Reines (già il termine "Regina" dovrebbe farvi ragionare sulla considerazione che si ha di noi) abbiamo avuto da sempre un trattamento speciale». Mi fermo qui per non tediare, ma resta la sostanza. Ora che si è nel mirino e che i protestatari, come dimostreremo, si cissano fra di loro temo che ne vedremo delle belle e che si creino problemi seri in un'occasione di festa, nel senso che prima o poi agli allevatori verrà il nervoso, è davvero una stortura. Cosa dicono gli animalisti, in un brano in cui ho tenuto anche gli errori: «La battaglia delle reines è una brutale ed inutile tradizione che risale al XVII secolo. Secondo i "fans", essa consiste in "un caratteristico combattimento tra mucche gravide, che si affrontano con le corna in modo "incruento" fino all'abbandono del campo da parte di una delle due". In ogni caso, tale disciplina è artificiale, non c'è nulla di naturale, perché organizzato dall'uomo per suo divertimento in clima festoso, e quindi se ne può benissimo fare a meno. Sono combattimenti per far divertire il pubblico, non c'è nulla di naturale perché tale pratica non avviene per volontà degli animali. E' una cosa anche molto diseducativa per i più giovani, che percepiscono il messaggio che sia normale e lecito sfruttare gli animali per puro divertimento. Quando le tradizioni implicano lo sfruttamento e la sofferenza animale, è bene che siano messe nel dimenticatoio: chiediamo che "Les battailles des reines" venga vietata!». La doppia "t" di "batailles" è già un indizio come altri svarioni. Personalmente amo gli animali e mi riconosco, nella frase del celebre etologo, Konrad Lorenz, quando scriveva: «Sarà molto difficile per l'orgoglio umano riconoscere che l'homo sapiens non ha semplicemente qualche interesse per gli animali: lui è un animale!». E tuttavia credo che qualche distinguo sarebbe bene farlo per non cadere in certi paradossi animalisti, che sfociano anche in posizioni estremistiche, che predicano persino la violenza. E questo diventa fondamentalismo, che è una stortura ideologica di cui avere persino paura, come mostra in maniera plastica l'attacco dei vegani animalisti alle macellerie in Francia! Sui movimenti di protesta ha scritto il sociologo statunitense Herbert Blumer, segnalando come usino - e nella società attuale non stupisce affatto, pensando ad esempio all'uso dei "social" - forme di protesta non convenzionali che si trasformano in azioni concepite per interrompere quel che viene definita la "routine quotidiana" (pensiamo a che cosa sono stati i flash mob!). Queste forme di protesta, secondo la sua ricerca, si suddividono in non violente, perturbative e violente. Ebbene: le forme di violenza vengono utilizzate dai movimenti sociali nel momento in cui le azioni non-violente e perturbative perdono la capacità di colpire l'antagonista e non influenzano più di tanto l'opinione pubblica. Lo dimostrano, nel caso in esame, gli atti vandalici alle auto dei cacciatori (e non solo a quelle dei cacciatori), le consuete rappresaglie negli allevamenti, le irruzioni nei laboratori, gli atti terroristici sempre più frequenti ad altre attività rurali, gli assalti ai pescatori, confermano che siamo nella fase della violenza. Secondo Blumer è il passaggio da azioni non violente, tipo il volantinaggio o cortei per puntare ad un grosso numero di sostenitori e simpatizzanti del movimento, alla logica della violenza dimostrativa, quando le azioni precedenti non sono più sufficienti a garantire obiettivi, visibilità e quindi la propaganda che serve ad alimentare i consensi facendo clamore mediatico. Riassumendo, il sociologo statunitense osserva come i movimenti sociali che si radicalizzano, usando forme di azione meno convenzionali e persino violente, tendono con il tempo ad isolarsi dal mondo esterno. E questo, se volete, è il punto chiave: l'impossibilità di dialogo con frange estremiste che si chiudono a riccio e evitano qualunque forma di confronto. Lo sappiano anche le reines di questa attitudine dei loro presunti difensori, che meriteremo di essere inseguiti dalle nostre bovine.