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01 ago 2018

La scelta di morire

di Luciano Caveri

La Valle d'Aosta è piccola e basta una serata in compagnia per capire - ma non c'è da restare increduli - come fra reti parentali, amicizie e conoscenze, ci sia davvero la possibilità di configurarci come una comunità che somiglia ad una grande famiglia. Per questo è normale condividere non solo le gioie, ma anche i dolori. Ci pensavo rispetto ad un fatto di cronaca, che affronto in punta di piedi perché certi argomenti vanno trattati con grande rispetto. L'altra mattina, uscendo a correre con le prime luci dell'alba, ho visto - nella strada parallela a dove abito - una camionetta dei Vigili del fuoco ed una macchina dei Carabinieri. Al ritorno del mio giro, un'auto si è avvicinata al marciapiede ed una donna al posto del passeggero mi ha chiesto se avessi visto un ragazzo con i pantaloni grigi e la maglietta dello stesso colore. Purtroppo non lo avevo visto.

Dopo ho saputo: quel giovane, che sapevo chi era, si era suicidato da un ponte a due passi da casa mia. Sono per una famiglia dei dolori indicibili e credo che lo stesso dolore straziante, fino a decidere di farla finita, lo provi anche chi decide di spegnere la sua vita. Mi vengono i brividi a pensare a storie di persone care che hanno fatto questa scelta ed a quanto avviene di conseguenza in chi resta, specie interrogandosi sul perché e soprattutto - credo che sia la parte più difficile - sul fatto se si sia fatto abbastanza per evitarlo. Pur tenendo conto della piccolezza del campione, la Valle d'Aosta è la Regione in cui i suicidi sono più frequenti: il tasso standardizzato di suicidio è pari all'11,08 per 100mila, il più elevato in Italia, a fronte di un valore medio nazionale di 7,32 per 100mila fra i soggetti con quindici anni ed oltre. Se si scava nella questione si trovano interessanti spunti da parte dell'"Istat". Un recente rapporto sostiene, infatti, come sarebbe errato correlare il fenomeno soprattutto alla patologia mentale. Lo studio prende in esame tutti i casi di suicidio nel triennio 2011-2013 ed a partire dal certificato di morte individua le indicazioni della presenza di una malattia importante (fisica o mentale). I dati evidenziano che solo il tredici per cento è affetto da patologie mentali (soprattutto ansia o depressione), mentre il 5,7 per cento ha una malattia fisica. Nessuna patologia riscontrata in oltre l'ottanta per cento dei suicidi. Il 21,8 per cento sono donne, il resto uomini. La percentuale delle malattie mentali sale nelle donne, specialmente nelle classe di età 35-64 anni (ventitré per cento rispetto al dodici per cento degli uomini) e in quella 65 ed oltre (venti per cento contro il dieci per cento). La casa è il luogo in cui avvengono maggiori casi di suicidio, soprattutto al Nord e Centro. Questo dato è più elevato (57 per cento) nel caso di suicidio associato ad una malattia mentale. Il trenta per cento dei suicidi in presenza di malattie fisiche avviene invece in istituti di cura. E' interessante notare che fino al 2010 l'Istat effettuava una rilevazione su suicidi e tentativi di suicido basata sulle informazioni trasmesse dalle Forze dell'ordine contestualmente alla comunicazione all'Autorità giudiziaria, ma questo tipo di rilevazione si è dimostrata nel tempo incompleta ed inattendibile. Successivamente - anche se con la chiusura dell'indagine di fonte giudiziaria non è più disponibile l'informazione sulla motivazione che ha indotto al suicidio - l'informazione sui suicidi si è basata su dati medici contenuti nei certificati di morte, che vengono elaborati e codificati in base alla "Classificazione internazionale delle malattie - ICD10" dell'"Organizzazione mondiale della sanità - OMS". Non ho le competenze e l'esperienza per scavare di più in questa descrizione e soprattutto sulle modalità di rilevazione che reggono il ragionamento . Mi domando solo - a fronte di un dato certo come l'aumento impressionante negli anni passati del consumo di antidepressivi in Valle d'Aosta - se alla fine emergano sempre questi elementi striscianti di disagio ed anche, altro elemento, quanto conti la difficoltà di far capire, in caso di malattia molto grave, come anche nell'ultimo tratto della vita ci siano aiuti, come le cure palliative, che aiutano le persone, pur nell'ipocrisia italiana di una legislazione ancora incompleta sulla fine vita. Sono temi difficili, che scuotono la coscienza e ci pongono di fronte a problemi legati ai diritti civili che si impastano anche con convinzioni religiose e scontri ideologici, ma ogni suicidio è in fondo una sconfitta e che ciò avvenga con numeri superiori alla media in una piccola realtà come quella valdostana invita tutti ad una maggiore attenzione. Resta poi, dietro al fenomeno, l'insieme drammatico delle storie personali. Viene inevitabilmente in mente - e ne cito un brano - quel famoso, sin dalle parole iniziali, monologo dell'"Amleto" di William Shakespeare: " Essere, o non essere, questo è il problema: se sia più nobile nella mente soffrire colpi di fionda e dardi d'atroce fortuna o prender armi contro un mare d'affanni e, opponendosi, por loro fine? Morire, dormire... nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne: è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare. Sì, qui è l'ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale deve farci riflettere. E' questo lo scrupolo che dà alla sventura una vita così lunga. Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo, il torto dell'oppressore, l'ingiuria dell'uomo superbo, gli spasimi dell'amore disprezzato, il ritardo della legge, l'insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo che il merito paziente riceve dagli indegni, quando egli stesso potrebbe darsi quietanza con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli, grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa, se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte, il paese inesplorato dalla cui frontiera nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà e ci fa sopportare i mali che abbiamo piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti? Così la coscienza ci rende tutti codardi, e così il colore naturale della risolutezza è reso malsano dalla pallida cera del pensiero, e imprese di grande altezza e momento per questa ragione deviano dal loro corso e perdono il nome di azione".