Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
30 mar 2018

Il futuro dell'area autonomista

di Luciano Caveri

Anche a me piacerebbe vivere nel migliore dei mondi possibili. Ci sono giornate in cui - come tutti - mi domando perché ciò non avvenga e tra l'altro, per chi abbia figli ed immagino per chi abbia nipoti, certi pensieri non sono solo di fronte ad uno specchio, ma si fanno assillanti guardando loro e immaginando, fra tante incertezze e inquietudini, quale potrà essere il loro futuro. Così, di questi tempi, nel minuscolo della politica valdostana, interloquendo con persone varie ed a differenti livelli di conoscenza dei meccanismi istituzionali e dei rapporti politici e delle loro evoluzioni, mi ritrovo spesso con qualcuno che mi chiede: «Ma perché non vi rimettete tutti assieme?».

Intendendo con questo - essendo questo quesito quasi sempre in assoluta buona fede, talvolta con candore - la rinascita di un unico soggetto politico di area autonomista, specie di fronte a nuovi soggetti politici che hanno avuto risultati importanti durante le ultime elezioni politiche. Una risposta sintetica è difficile da dare, perché oltretutto potrebbe essere letta come omissiva o superficiale. Già, perché? La prima risposta che verrebbe da dire ed è una vecchia questione è quale debba essere il perimetro autonomista. Su quello bisognerebbe avere la pazienza di vedere i singoli curricula, come si fa - lo dico sorridendo - con i concorsi per titoli. Nel cielo autonomista ho visto apparire (e talvolta sparire) meteore di provenienza da cieli ben diversi, perché chi veniva da altrove ha ritenuto nel tempo che fosse più conveniente e profittevole dimenticare i partiti nazionali di provenienza. Conversioni che spesso erano legate al "post Tangentopoli" ed alle sue ondate successive che avevano modificato i tratti della vecchia partitocrazia e che erano legate ad una constatazione, che oggi scricchiola: ai valdostani, oggi viene da chiarire di origine e di provenienza, pareva naturale affidarsi a soggetti autonomisti e chi non lo era aveva ritenuto utile entrare a farne parte, in buona e cattiva fede. Non si tratta di un tema nominalistico, cioè "d'etichetta" per dirla con più semplicità: far parte dell'area autonomista significa aver studiato quanto necessario, agire nelle scelte amministrative e politiche con un certo imprinting che non si improvvisa, non tradire certi principi di correttezza e onestà che portarono durante la Resistenza e poi nel dopoguerra a far risalire la Valle dal baratro dov'era precipitata. Queste considerazioni valgono per una seconda ragione molto semplice: c'è anche chi, nell'area autonomista di cui facevano parte per storia e formazione, ha tradito ideali e impegni, scegliendo comportamenti che vanno dalla spregiudicatezza a reati veri e propri, e le macerie dell'Autonomia attuale non sono frutto di una catastrofe naturale, ma di scelte politiche errate e spesso ondivaghe. Per cui chi dice «si torna assieme» dovrebbe capire che ci sono compagnie che è meglio non frequentare proprio per i precedenti e gli esiti, compreso - per alcuni - il tradimento della volontà popolare. Io soffro ancora pensando a quando si è lavorato per il cambiamento - ed io c'ero - per poi ritrovarsi con chi doveva essere avversario, non avendo dimostrato nei fatti alcuna modifica nei comportamenti che avevano portato a certe diaspore nell'area autonomista. Chi è andato via - come me - lo ha fatto con dolore, ritenendo di essere in qualche modo "sfrattato" dalla propria casa senza ragione! Dunque non si tratta di non volere trovare collanti per stare assieme, ma di essere coerenti nella considerazione che ogni ripartenza significa avere condizioni diverse da quelle precedenti, altrimenti ogni scelta di aggregazione sarebbe ipocrita se non opportunistica, fatta magari per interesse. Non ho alcuna autorità morale per dare pagelline agli uni o agli altri e non si tratta di chiedere, come un prete nel confessionale, quale sia il livello di pentimento, per dispensare poi preghiere lenitive dei peccati commessi, ma non sono neppure uno struzzo pronto ad ingollare qualunque cosa nel nome di un nobile intento. Altrimenti, rimessi assieme i cocci, il vaso autonomista sarebbe destinato a rompersi di nuovo, forse irreparabilmente, perché crepato. Per questa ragione bisogna rifiutare manovre di facciata, salti in avanti che siano nel buio, vicende che possano poi tornare indietro come boomerang per mancanza di lealtà. E bisogna evitare sirene esterne - che nulla c'entrano con la storia locale - di chi fa il super-autonomista ad Aosta ed il sovranista destrorso a Milano, da dove si comandano le truppe. L'alternativa è un tavolo serio, risolutivo, fuori dalle tempeste elettorali e dal guano di certe storiacce in corso o in arrivo.