Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
30 mar 2018

Da una strage la libertà d'informazione

di Luciano Caveri

Dal male può generare il bene? Si tratta di un interrogativo vecchio quanto il mondo e diventa ancora più drammatico per chi, come me, è figlio del Novecento e aveva coltivato la speranza per ora largamente disillusa che questo nuovo Millennio sarebbe stato meno carico di orrori e di dolori che l'umanità infligge a sé stessa con una logica distruttiva inesauribile. E invece l'odio si presenta con volti sempre nuovi e l'efferatezza di cui sa vestirsi il Male stupisce e addolora. Facciamo un passo indietro: ciò riguarda la strage che avvenne in Rwanda all'inizio degli anni Novanta per la scelta criminale dell'etnia hutu contro i "nemici" di etnia tutsi. Uno dei testimoni e cronisti del genocidio fu Philippe Dahinden, giornalista svizzero, che scopre - oltre alla ferocia delle stragi - la forza nel fomentare l'odio della "Radio Libera Mille Colline", fondata nel giugno 1993 dalla "Coalizione per la Difesa della Repubblica - Cdr", la corrente estremista "Hutu Power" all'interno del Governo, creata dalla first lady Agathe Habyariamana.

Ufficialmente l'obiettivo di questa nuova radio (la prima radio indipendente nel Paese) sarebbe stato quello di creare uno sviluppo armonioso della società ruandese. Il vero obiettivo era invece diffondere la propaganda dell'odio etnico seguendo le linee guida del manifesto "i dieci comandamenti hutu" per la preparazione della "soluzione finale". Non a caso la radio divenne per tutti "Radio Machete", dal coltellaccio usato per uccidere e non era la prima volta che ciò avveniva con un copione simile, perché analoga strage era già avvenuta nel 1963, quando Bertrand Russell definì quanto avvenuto come «i massacri più atroci cui siamo venuti a conoscenza dai tempi dello sterminio degli Ebrei». Da questa esperienza - come ha raccontato due giorni fa ad Aosta la giornalista svizzera Romaine Jean in una conferenza della "Union de La Presse Francophone - Upf", di cui sono membro - è nato il progetto assai originale della "Fondation Hirondelle - Media for Peace and Human Dignity". Questo un suo descrittivo tratto dal loro sito: "organisation de journalistes qui crée des médias indépendants en zones de crises. Organisation de droit suisse, elle est fondée en 1995, à Genève, par Jean-Marie Etter, Philippe Dahinden et François Gross. Le siège est à Lausanne (Suisse). La "Fondation Hirondelle" est actuellement la seule organisation au monde spécialisée dans la création en zones de crises de médias d'envergure nationale". Traggo da un'altra sezione: "La "Fondation Hirondelle" pratique et défend un journalisme rigoureux et responsable dans des contextes de conflit, post-conflit, de crise humanitaire ou de transition démocratique. Nos informations traitent de l'actualité des pays et régions dans lesquelles nous intervenons, et des thématiques qui traversent et connectent nos sociétés. Nos programmes de dialogue réunissent toutes les composantes politiques et sociales. Ils favorisent la participation des populations au débat public, créent des espaces qui permettent à chacun de s'exprimer, et de chercher ensemble des solutions consensuelles aux problèmes". In Paesi africani, ma anche in Asia o in conflitto come quello ucraino - specie con la nascita di emittenti radio ma anche con le nuove tecnologie del Web - la Fondazione (che prende il nome dalla prima radio "buona" nata in Rwanda) cerca di fornire i mezzi tecnici e finanziari per dare sul posto informazioni corrette e pacificatrici contro l'odio instillato dalla propaganda di parte. Sappiamo come la propaganda generi mostri nel corso della storia e le fake news di oggi sono solo la versione contemporanea di un fenomeno antico contro il nemico di turno. La Romaine ha raccontato tutto questo con pacatezza e semplicità. Dal Niger al Nepal, dal Congo al Myanmar i membri della Fondazione dimostrano come anche i giornalisti - categoria svilita da molti che non hanno idea delle elementari regole deontologiche de non morali - possano essere messaggeri di pace. Ma non in quella logica retorica e buonista da convegno pensoso, ma agendo in modo concreto in scenari di guerra, dove dimostrare concretezza e pure coraggio per i rischi che si corrono.