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22 gen 2018

«Razza bianca»

di Luciano Caveri

Attilio Fontana, candidato leghista del centrodestra alla Presidenza della Regione Lombardia, ha usato in un suo intervento a "Radio Padania" sull'immigrazione l'espressione «razza bianca», da lui considerata «a rischio» per via delle ondate migratorie. Esplosa la polemica, ha cercato di dire che si trattava di un lapsus e talvolta il taccone risulta peggio del buco. Ma in realtà quanto avvenuto dimostra, nella schiettezza di questa sua dichiarazione, come la Lega sia in una trentina d'anni cambiata profondamente e il famoso federalismo abbia ceduto il passo ad un embrassons-nous con elementi dell'estrema destra in Italia ed in Europa. Nulla ormai è come prima e non a caso il tema migranti è diventato il cavallo di battaglia, considerato di massimo impatto e più si è rozzi e più si titilla una parte degli elettori.

E pensare che termine "razza" è davvero meglio lasciarlo perdere, come ricorda il genetista Luca Luigi Cavalli Sforza: «Nella nostra specie non esistono le razze perché siamo troppo giovani come specie, non ne abbiamo avuto il tempo. Le grandi differenze sono tra individui mentre quelle tra popolazioni sono una piccola percentuale, per esattezza circa l'undici per cento delle differenze tra uomini». Per cui chi cavalca il razzismo, oltre ad essere riprovevole ed erede di una serie di orrori nel suo nome, prende un granchio e si riallaccia a filoni che portano su strade pericolose. Michel Wieviorka ("Lo spazio del razzismo", "Il Saggiatore", 1993) scrive: «il riconoscimento della diversità delle culture, di per sé, non porta ad alcun pericolo; è quando ciò lascia il posto all'affermazione della loro ineguaglianza che nasce il razzismo, indissociabile dal sentimento di una superiorità basata su rapporti di potere». Si trasformano arbitrariamente le differenze culturali in altrettante caratteristiche "razziali" con la nascita di razze «superiori» ed «inferiori». Fantasmi del passato? Per nulla, purtroppo. Per questo la questione deve essere trattata con delicatezza e chi crede nei valori democratici, direi costituzionali (è vero che nell'art. 3 sull'uguaglianza si parla di "razza", ma il concetto allora era diverso scientificamente), deve lavorare contro ogni rigurgito razzista. Ed è per questo che, per evitare strumentalizzazioni, i fenomeni migratori attuali vanno regolati in modo chiaro e leggibile per evitare di lasciar spazio a chi li adoperare per riprendere filoni di razzismo a beneficio del consenso elettorale. Scelte furbesche, indegne di un confronto democratico, e potenzialmente pericolose perché si sa dove si comincia ma non si sa dove si finisce. Si può passare con enorme facilità da un patriottismo buono ad un nazionalismo becero, dalla valorizzazione della propria cultura al disprezzo di quella altrui, da atteggiamenti legittimi nella richiesta di integrazione alla aggressività verso il "diverso". Temi difficili, certo, ma solo l'equilibrio può evitare che la violenza verbale alimenti fenomeni ben più gravi. Nel "Dizionario dei fascismi" (Milza, Bernstein, Tranfaglia, Mantelli, "Bompiani", 2002) si spiega come "non necessariamente movimenti e culture d'ispirazione razzista e antisemita sono fascisti. Viceversa, appare sostanzialmente indiscutibile che il fascismo (i fascismi) sia stato portatore di istanze di natura razzista (e, prima o poi, apertamente antisemita), sia per la sua concezione organicistica della società, sia per la forte sottolineatura di una identità nazionale concepita come monocratica e onnicomprensiva, e per ciò stesso esclusiva e intollerante verso qualsiasi appartenenza e identità multipla, sia per la dimensione della politica estera, vista come scontro selettivo per gli Stati-nazione". Inutile dire come questo sia, specie in campagna elettorale, un tema di riflessione contro chi accende incendi ideologici alla ricerca di consensi facili.