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16 gen 2018

Comportamenti fra Politica e Storia

di Luciano Caveri

Ognuno di noi è il prodotto di diversi elementi: ci sono quelli genetici, che ci derivano dalla progenie dei nostri genitori, ci sono poi gli aspetti di apprendimento culturale e quelli derivanti dall'educazione che ci forgiano e naturalmente ci sono poi caratteristiche tutte nostre, direi caratteriali e conseguenze su di noi della vita, che indirizzano - nel bene e nel male - il nostro modo di essere nel suo complesso. Un insieme che dimostra la straordinaria unicità della persona su cui tanti filosofi del passato hanno ragionato e solo la futura invadenza dell'intelligenza artificiale pone, sin da oggi, seri problemi su quanto ciò inciderà sull'umanità che verrà.

Ci pensavo rispetto a un ragionamento, fatto qualche settimana fa a Gignod - in occasione di una manifestazione in cui fra l'altro si è ricordata la figura di Claudio Brédy - dal professor Marco Cuaz nella sua veste di relatore della tesi storica con cui Claudio ottenne presso l'Università di Torino la sua seconda laurea (la terza, in antropologia, era ormai imminente a Venezia). Cuaz ha raccontato - e ciò nobilita il nostro amico scomparso in tragiche circostanze l'anno passato - di come Claudio, che poi dalla tesi ha tratto un libro sull'organizzazione dopolavoristica in Valle al tempo del fascismo, non chiudesse mai il suo lavoro per laurearsi e che ogni volta proponesse, quasi a sfinimento, l'acquisizione di nuovi documenti ed ulteriori filoni in cui scavare. In particolare un suo assillo era capire a fondo le ragioni che avevano spinto una larga parte di valdostani ad una sorta di adesione passiva al regime mussoliniano e la risposta - anche da politico - che si era data, e su cui lo stesso Cuaz concorda ancora oggi, è nella capacità del Fascismo di volare basso nella soluzione di due problemi risolvibili nel vecchio motto latino "panem et circenses". Risolto il problema di un lavoro ed organizzando il tempo libero con i dopolavoro in modo molto minuto e coinvolgente non si volava alto con grandi ideali, ma si davano risposte essenziali e come tali soddisfacenti. Poi, naturalmente, il volto feroce della dittatura ed i suoi esiti disastrosi fecero piano piano capire a molti (una minoranza lo sapeva già, come gli esponenti di spicco della "Jeune Vallée d'Aoste") che i numerosi elementi di facciata, gli orpelli retorici, una propaganda martellante specie sui giovani e giovanissimi fossero elementi di cartapesta infranti contro un Parlamento spogliato, partiti disciolti, logiche liberticide, assassini politici, stampa con il bavaglio, l'avventura terribile di una guerra sanguinosa, le leggi razziali, la supremazia del Nazismo e via di questo passo. Ma Cuaz ha segnalato anche, nel suo ricordo, come questa scelta di Brédy di coltivare ideali nobili e anche la minuzia nell'affrontare gli studi come faceva con tanti dossier nel suo lavoro, che traslava in Politica, finisse forse per non essere così popolare per l'affermarsi sempre di più dell'approccio fatuo ai problemi. Essendoci in Politica, a suo dire, maggior soddisfazione e risultati più efficaci per stare sulla scena, usando la logica della promessa, della la faciloneria degli annunci, della logica - sono io che sintetizzo - di accarezzare i "desiderata" dell'opinione pubblica in senso acritico con lo scopo precipuo di inseguire il consenso, costi quel che costi. Che è poi - per essere franchi - il declino in cui avvolge parte della classe politica, che non insegue progetti od i programmi, ma trasforma l'azione politica ed amministrativa in una specie di "fast food", dove idee e ideali finiscono per essere accantonati «perché troppo difficili». Meglio mirare al sodo e dare risposte che finiscono per essere populiste e rispondere a bisogni immediati, senza alcune visione prospettica del futuro. L'importante è essere "popolari" e "piacioni". Mi schiero con Claudio, pur sapendo che esiste un equilibrio che è giusto tenere: è ovvio che nel raccontare le cose, speranze comprese, esiste una parte di racconto suggestivo su che cosa si vorrebbe, ma è ben diverso mettere elementi decorativi ed adoperare tecniche retoriche classiche ed altra cosa ancora è usare elementi di inganno o di suggestione privi di contenuti, come delle maschere ingannevoli. Questo svaluta in profondità la classe politica e la butta in pasto ad un'opinione pubblica che mal sopporta ormai - nella parte più avveduta - il baratro fra il "dire" e il "fare". Temi interessanti, pensando alle ormai imminenti elezioni politiche ed alle successive elezioni regionali, che per quasi sei mesi incideranno sul dibattito politico in Valle e certi punti di riferimento possono fare da solido ancoraggio.