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16 gen 2018

Contro l'obsolescenza programmata

di Luciano Caveri

Credo che sia capitato a tutti di riflettere sulla durata assai sospetta di alcuni elettrodomestici e di prodotti dell'elettronica, come se ci fosse a monte una sorta di predeterminata fine corsa. A casa nostra abbiamo notato la singolare moria, guarda il caso sempre concomitante con la scadenza della garanzia, di forni da cucina, lavatrici, lavastoviglie. Per non dire, caso eclatante, delle cartucce delle stampanti a fronte di costi di acquisto elevatissimi, che fanno capire perché la stampante in sé costi poco: il guadagno è nel rapido esaurimento degli inchiostri. Per non dire dei telefonini: il caso della "Apple" è in via di accertamento, ma è vero che - superati alcuni modelli - gli aggiornamenti spariscono, per cui l'"iPad" diventa inutilizzabile e - pensa la combinazione - si "inciucca" un vecchio telefonino in concomitanza con l'uscita dei nuovi modelli.

Insomma: il dubbio è stato che esistesse una sorta di data di scadenza programmata ab origine per obbligare il consumatore a spendere nuovamente. Naturale il riferimento ad elettrodomestici del tempo che fu che, in assenza di tecnologie sofisticate quali quelle oggi a disposizione della tecnica, duravano un sacco di tempo, come dei muli instancabili. La notizia di quanto capita in Francia è molto recente: "Le parquet de Paris a en effet ouvert une enquête préliminaire contre Apple pour "obsolescence programmée" et "tromperie". L'enquête a été confiée à la "Direction générale de la concurrence, de la consommation et de la répression des fraudes". Elle fait suite à la plainte déposée en décembre par l'association "Halte à l'obsolescence programmée - Hop" contre "Apple France". «Nous nous félicitons de la décision du procureur qui a ouvert une enquête pénale contre "Apple" sur le fondement du délit d'obsolescence programmée. C'est le résultat de la mobilisation des consommateurs du monde entier», se réjouit Emile Meunier, l'avocat de l'association, dans un communiqué. Il s'agit selon ce dernier de la première procédure pénale au monde contre la société, sur le fondement de l'obsolescence programmée". Ricordate la storia: "Apple" ha ammesso di "rallentare" vecchi telefonini con la scusa di evitare consumi della batteria, di cui poi ha proposto la sostituzione a prezzi molto ribassati. I giudici francesi, ma ci saranno altre iniziative nel mondo (difficile in Italia dove le "class action", cioè le azioni collettive di rivalsa sono macchinose), dovranno appurare se esistesse o meno dietro a questa procedura qualche malizia per spingere il consumatore spazientito a cambiare il modello, abbandonando il vecchio mal funzionante. Ha scritto il "Corriere della Sera" sul "caso francese", segnalando un'inchiesta ulteriore rispetto a quella parigina: "Nel mirino non c'è solo "Apple", anche se è quello di Cupertino e delle batterie degli "iPhone" è il più clamoroso. Il primo caso della storia, ossia l'apertura di un'indagine per il sospetto che alcune aziende di elettronica stiano accelerando volutamente l'usura dei propri prodotti, è successa lo scorso novembre in Francia. Ma la notizia è stata confermata solo il 28 dicembre: in seguito alle denunce dell'associazione "Halte à l'obsolescence programmée", la Procura di Nanterre (a nord-ovest di Parigi) ha puntato gli occhi su quattro multinazionali, "Epson", "Brother", "Canon" e "HP", affidando l'inchiesta alla Direzione generale repressione frodi del Ministero dell'economia. L'associazione, nata nel 2015 a Parigi con l'obiettivo di combattere il "pronto per essere buttato", sostiene che le aziende in questione riducono di proposito la durata della vita delle proprie stampanti e cartucce d'inchiostro. Le società potrebbero essere incriminate per "obsolescence programmée et tromperie", pratica che dal 2015 è vietata dal Codice del consumo francese - in accordo a quanto stabilito dalla "legge Hamon" e dalla "legge sulla transizione energetica". La Francia è stata il primo Paese a proibire la cosiddetta obsolescenza programmata (o pianificata). La legislazione francese punisce chi commette tale reato con un'ammenda di 300mila euro, a cui va aggiunta una contravvenzione pari al cinque per cento del fatturato dell'azienda; nei casi più gravi si può arrivare a fino a due anni di reclusione". Questo è un tema molto interessante che riguarda i diritti di noi cittadini, perché fa intravvedere atteggiamenti gravissimi, calcolati cinicamente a tavolino da parte non di azienducole ma di gruppi leader nei rispettivi settori. In Italia, purtroppo, le proposte di legge in materia, per contrastare una vera e propria ruberia, sono rimaste insabbiate in Parlamento, ma potrebbe arrivare qualcosa - per fortuna - dall'Unione Europea per uscire dall'attuale impasse. Nel frattempo la giurisprudenza che verrà dalla Francia traccerà un solco.