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06 gen 2018

2018: buttiamo via le brutture

di Luciano Caveri

Si chiude il 2017. Per cui è tempo di bilanci, almeno di quelli fattibili, visto che certe cose non si sa ancora bene quale piega prenderanno ed è sempre difficile catalogare il "bene" ed il "male" nel flusso degli avvenimenti. In generale ho visto anni migliori sia in termini generali che personali, ma credo che valga sempre il ragionamento che ci sarebbe potuto essere di meglio ma anche di peggio. Sarà filosofia spicciola o consolatoria, ma alla fine è vero così, specie guardando a drammi e problemi gravi che colpiscono come bombe anche molto vicino. Certo sarebbe più facile buttare dalla finestra quanto non c'è piaciuto o ha girato storto. Butterei anche alcune persone, dotandole forse della chance di un paracadute. Sarà che penso di essere un buono, ma non finirò mai di stupirmi su quanta malvagità ci sia in giro e venga esibita con grande naturalezza.

E' il grande Gianni Rodari, che ricorda l'usanza di buttare via certe cose vecchie, come una specie di esorcismo alla buona, con una sua filastrocca del tutto condivisibile: «Nella notte di Capodanno, i buoni romani sapete che fanno? Dalla finestra gettano via cenci, cocci e compagnia. Piovono allegri sul selciato il vecchio catino, il secchio sfondato, pentole, chiacchiere, piatti e padelle, sedie zoppe ed ex ombrelle. Tu, ripàrati sotto un portone, fin che dura l'operazione, ma non maledire la vecchia usanza: chi getta i cocci, si tien la speranza. Queste cose brutte e amare si dovrebbero buttare: le baracche ed i tuguri, dove i giorni son tutti scuri, la fame, la guerra, la cattiveria, tutti gli stracci della miseria... Ingombrerebbero troppo la via? Poi penseremo a far pulizia».

Mi piace molto questa questione del buttare via tante brutture per fare pulizia. Anche in politica sarebbe bello poterlo fare: il 2018 è anno di elezioni e il voto può essere un mezzo potente, se usata con senno. Anche se, in fondo, i buoni propositi funzioni solo se non sono un esercizio straordinario una tantum da ultimo dell'anno. In questo aveva ragione da vendere Antonio Gramsci, quando osservava: «Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un'azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. E' un torto in genere delle date». Intanto auguriamoci che tutto in queste ore sia sereno per traghettarci verso il 2018 e poi da lì sarà mare aperto, perché nessuno può davvero prevedere che cosa sarà. Questa è la natura della nostra condizione umana, che va assunta per quella che è.