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14 nov 2017

Il primo dovere del politico

di Luciano Caveri

E' sempre molto difficile applicare la filosofia della politica ed i suoi ragionamenti ai fatti concreti della cronaca giudiziaria, che sembra essere una delle dominanti di questa epoca, in cui la Giustizia svetta fra i poteri dello Stato, come scelta propria e come conseguenza dell'indebolimento degli altri poteri. Tuttavia i fatti di queste ore in Valle d'Aosta, così come alcuni del passato più o meno recente, ma anche i boatos di possibili novità ulteriori su altri filoni d'inchiesta, obbligano a ragionamenti che non sono per nulla astratti, ma marcano una serie di confini su cui è bene interrogarsi. Non è per atteggiarsi ad intellettuali, ma è per trovare delle stampelle che ci aiutino a camminare su di un terreno sconnesso, che tra l'altro parte sempre dall'assunto della presunzione d'innocenza fino a sentenza definitiva. Anche se ben sappiamo che quando le vicende giudiziarie toccano politici ci sono oggi meccanismi di sospensione che in certi casi agiscono prima di finire in Cassazione.

In celebri riflessioni su Etica e Politica, che risalgono a trent'anni fa, Norberto Bobbio affrontava questo tema con minuzia di ricostruzione delle diverse posizioni in campo, che qui non ripeto, perché il testo può essere facilmente rinvenibile nella sua completezza sul Web. Osservava sin dalle prime righe il compianto filosofo torinese su di una convinzione comune secondo la quale «l'uomo politico possa comportarsi in modo difforme dalla morale comune, che ciò che è illecito in morale possa essere considerato e apprezzato come lecito in politica, insomma che la politica ubbidisca a un codice di regole, o sistema normativo, differente da, e in parte incompatibile con, il codice, o il sistema normativo, della condotta morale. Quando Machiavelli attribuisce a Cosimo de' Medici (e sembra approvare) il detto che "Gli Stati non si governano coi Pater Noster in mano", mostra di ritenere, e dà per scontato, che l'uomo politico non possa svolgere la propria azione seguendo i precetti della morale dominante, che in una società cristiana coincide con la morale evangelica. Per venire ai giorni nostri, in un ben noto dramma, "Les mains sales", Jean Paul Sartre sostiene, o meglio fa sostenere a uno dei suoi personaggi, la tesi che chi svolge un'attività politica non può fare a meno di sporcarsi le mani (di fango o anche di sangue)». Per cui sembrerebbe lecito poter immaginare una sorta di doppio binario fra persone comuni e chi si occupa di politica, anche se poi - nelle conclusioni della lunga ricostruzione del quadro di riferimento - Bobbio diventa secco: «Il dibattito sulla questione morale riguarda spesso, e in Italia prevalentemente, il tema della corruzione, in tutte le sue forme, previste del resto dal codice penale sotto la rubrica dei reati di interesse privato in atti di ufficio, di peculato, di concussione, eccetera, e specificamente, con riferimento quasi esclusivo a uomini di partito, il tema cosiddetto delle tangenti. Basta una breve riflessione per rendersi conto che ciò che rende moralmente illecita ogni forma di corruzione politica (tralasciando l'illecito giuridico), è la fondatissima presunzione che l'uomo politico che si lascia corrompere abbia anteposto l'interesse individuale all'interesse collettivo, il bene proprio al bene comune, la salute del proprio io e della propria famiglia a quella della patria. E ciò facendo sia venuto meno al dovere di chi si dedica all'esercizio dell'attività politica, e abbia compiuto un'azione politicamente immorale». Naturalmente il ragionamento è più vasto e mi scuso per la smilza citazione, ma è bene su questo argomento centrare l'attenzione senza troppi tabù e sapendo che anche di questi tempi questa questione - nel sentimento comune - esiste ed è molto più terra a terra, direi di pancia. Ma credo che questo argomento, proprio a tutela della Valle, debba essere affrontato con serietà e capacità autocritica rispetto alle esperienze che ciascuno di noi ha vissuto. Evitando soprattutto di occuparsene in modo furbesco, come osservava beffardo Leo Longanesi e mi ricorda qualcuno: «Ci si conserva onesti il tempo necessario che basta per poter accusare gli avversari e prendergli il posto».