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27 ott 2017

"Reines" ed allevatori: un antico sodalizio

di Luciano Caveri

Dopo tanti anni che scrivo o mi occupo in altro modo delle "Reines" (ho fatto la prima telecronaca delle "Batailles" agli inizi degli anni Ottanta) mi domando se ci sia ancora qualcosa da dire, al di là della piacevole ripetitività di certi appuntamenti, come avverrà questa mattina attorno alle 9.45 sugli schermi di "RaiVd'A" dall'arena della "Croix Noire" di Aosta. Struttura purtroppo sottoutilizzata per altri scopi, definita un tempo con malcelato disprezzo "vaccodromo", termine che personalmente considero invece faccia simpatia. Perché coincide con un luogo di festa e celebrazione di un'antica tradizione, che per fortuna è ancora vivente e non museale. E forse il segreto è stato quello di sapersi intersecare con la modernità senza perdere certe radici ben profonde.

Eppure ritengo che ci sarebbe ancora da scavare in questo fenomeno, che appartiene a certe sopravvivenze della parte più antica dell'anima rurale della Valle d'Aosta, che si sta numericamente riducendo nel tempo per l'evoluzione dell'allevamento, ormai concentratosi in grandi strutture rispetto a piccoli allevamenti diffusi con un mare di persone che facevano un doppio lavoro. Un caso usuale era l'attività in fabbrica e quella in campagna. Le "Batailles", di recente nel mirino di animalisti che non prendono un canale ma fanno molto rumore (in questo caso davvero per nulla), sono all'incrocio fra l'antropologia e l'etologia, cioè un caso di scuola di come una popolazione incontri degli animali, addomesticandoli. In parte questo deve essere iniziato nel Neolitico, anche se a dir la verità, ad esempio leggendo su "Agraria" un interessante articolo sull'origine dei bovini di Fernando Comegna, dopo un pochino mi sono perso nell'intrico delle origini e delle razze derivate da diversi ceppi. Quel che conta, almeno per la Valle d'Aosta e il mantenimento di certi usi e costumi, è stata la scelta di mantenere - anche se non sempre e stato facile - mantenere razze bovine locali, legate ai formaggi "dop", che si sposano perfettamente con il territorio e con pratiche antiche come l'alpeggio. Scrive sulle origini delle razze bovine considerate oggi autoctone l'"ANABoRaVa" (acronimo complicato che sta per "Associazione nazionale bovine razza valdostana"): "Per quanto concerne l'origine di queste razze, la "Pezzata rossa" deriva dai bovini pezzati d'origine nord europea, ed è stata introdotta in Valle d'Aosta verso la fine del quinto secolo d.C. durante il regno dei Burgundi. Le "Pezzate nere" e "Castane" rappresentano le bovine appartenenti al ceppo "Hérens" del Valais, la popolazione che abitava all'origine l'arco alpino, derivata probabilmente dal "Bos Brachyceros". In particolare per la castana si ipotizza un incrocio a monte tra le "Hérens" e la "Pezzata nera" valdostana". Insomma: un ceppo più antico e uno più recente, ma si sa che le "Regine" sono "Pezzate nere" o "Castane" per la loro maggior aggressività. Ma accanto a questo si staglia la figura dell'allevatore e della sua evoluzione in parallelo con le bestie che lo hanno accompagnato nella sua storia sulle nostre montagne. Se gli animali hanno cambiato dalle origini ad oggi la loro morfologia, il montanaro che le accudiva è cambiato ancora di più, passando da logiche di autoconsumo ad un mercato fatto di concorrenza e necessità di diventare impresa vera e propria. Spesso con uno strangolamento per via di storture burocratiche (i pagamenti!) che lasciano allibiti fra politiche comunitarie indispensabili a salvaguardia della montagna ed un mare di carte che rendono tutto più difficile. Facendo anche fronte ad una generale incomprensione di larga parte dell'opinione pubblica che, scarsamente informata, dimostra pregiudizi verso il mondo agricolo che sembra satollo di chissà quali contributi, quando la gran parte di quel che è rimasto è propria fatta di quei fondi compensativi che cercano di equilibrare le differenze di costi fra chi sta in montagna e chi in pianura. Che poi il Mercato vada affrontato è scontato. E' ovvio come questa evoluzione non si fermerà e giustamente ci si interroga, specie con la crisi della politica comunitaria, di cui la politica agricola è uno dei pilastri che evita palesi distorsioni sul mercato, su quali sviluppi futuri ci saranno sotto gli occhi vigili delle nostre "Reines".