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01 ott 2017

Fra utopia e realtà

di Luciano Caveri

La libertà dei popoli più è distante e più fa l'unanimità. Per cui se ci deve battere per le tribù amazzoniche o per i diritti degli aborigeni australiani vanno fortissimo anche quelli che si fanno tiepidi quando certi diritti si fanno vicini. E' il caso dell'autodeterminazione dei curdi, popolo negletto senza un suo Stato, che va bene per combattere gli islamisti, ma che non si illudano di avere finalmente una propria terra riconosciuta. Troppi interessi economici - dal petrolio ai minerali pregiati - ruotano in quell'area. Per non dire dei catalani: simpatici se si va a Barcellona per godere della loro vitalità, ma guai a pensare all'effetto domino che da lì potrebbe svilupparsi, che siano per cominciare i baschi e poi i galiziani, ma magari poi potrebbero crederci i corsi o i bretoni e via di questo passo, smembrando i vecchi Stati e chissà che in una prospettiva nuova la famosa "République du Mont-Blanc" di Émile Chanoux non possa diventare un'utopia realizzata.

Saranno, al momento, delle fantasie, ma è bene pensare che mai dire mai nello sviluppo delle Istituzioni, perché al livello globale che investe un sacco di cose si contrappone la voglia di avere un campanile cui fare riferimento e una comunità in cui riconoscersi, restando - com'è giusto che sia - cittadini dello stesso mondo. Nel mio caso non vedo contraddizioni a fare il salto dalla mia dimensione valdostana a quella europea e mi scoccia che l'identità alpina, con le sue somiglianze e affinità, sia stata oggetto di uno sradicamento tale per cui le frontiere hanno cercato di uccidere antiche fratellanze. Di conseguenza l'essere italiano avrebbe dovuto significare accettare anche mentalmente i confini, che appaiono retaggio davvero del passato, quando la prossimità - in chiave moderna di scambi - può far prosperare le culture ma anche rafforzare le economie. Io non accetto di essere considerato come abitante di una terra di frontiera e come tale implicitamente negletta, anzi considero il mio status di valdostano come un punto avanzato di dialogo e di confronto e non una marginalità calcolata rispetto alle Capitali. Perciò mi fanno ridere alcuni che fanno assieme i regionalisti e i sovranisti, alleandosi con nazionalisti da paura - alla destra estrema - facendo finta che si possa conciliare quel volto feroce con l'idea federalista aggregativa e aperta al dialogo. Non è possibile e non lo è neppure, tanto per evitare il "benaltrismo", rispetto alle logiche del comunismo trinariciuto, che sacrifica ad un internazionalismo senza costrutto le identità specifiche, come se fossero un retaggio conservatore e non un fattore di ricchezza e di sviluppo. Ma il federalismo, non a caso, si è trovato stretto fra gli estremismi e vittima anche di quei moderati che stanno al centro senza il coraggio di cambiare antiche mentalità, bloccando ogni progresso a difesa di status quo spesso indifendibili. Ecco perché, mai come ora, bisognerebbe tornare, piccola com'è la Valle d'Aosta, ormai non più omogenea dal punto di vista culturale, a sforzarsi qui e subito nel cercare un modello condiviso di cittadinanza, che dia vita ad un'identità che faccia tesoro del passato senza mummificarlo, cercando proprio nella dimensione ridotta quegli elementi che rendono possibile una democrazia partecipativa di stampo alpino, perché la montagna incide. Sapendo mettere assieme la democrazia rappresentativa e momenti di decisione più ampia, ma non compiendo l'errore di mettere contro eletti e cittadini, ma cercando soluzioni - ben presenti proprio nel federalismo elvetico - che fortifichino le diverse volontà con un unico scopo: cercare le soluzioni migliori per risolvere i problemi. E fra questi c'è anche l'annosa questione delle diverse sovranità che il federalismo garantisce per evitare che alla fine - per molti ragioni - si cerchi di prevaricare ogni istanza politica diversa nella presunzione che basti un unico luogo decisionale buono per tutti, senza alcuna differenza e apprezzamento delle diverse condizioni di vita. Il pluralismo in chiave federalista garantito dalla sussidiarietà, resta la chiave del futuro, non facendo un unico calderone delle tante teste e tante idee, ma cercando meccanismi decisionali rapidi attraverso istituzioni efficienti, che non macinino la logica delle complicazioni per giustificare la propria esistenza ed è da sempre questo il lato oscuro delle burocrazie e della politica che vuole imporre tutto nella vita dei propri cittadini.