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26 set 2017

I pensieri sulla politica del Vescovo di Aosta

di Luciano Caveri

Ho letto con grande attenzione, come penso sia doveroso fare, la lettera del Vescovo della Diocesi valdostana, Franco Lovignana, all'inizio dellìAnno pastorale 2017-2018. Mai mi permetterei di commentare quelle parti che Monsignor Lovignana dedica alle questioni più propriamente religiose del suo mandato. Lo conosco da tanti anni e so non solo della profondità del suo pensiero, del dinamismo messo nella sua missione, ma anche quel suo radicamento nella realtà locale, che non è affatto provincialismo, ma è la consapevolezza che ogni comunità dev'essere conosciuta e interpretata. E chi ha il privilegio di averla vissuta fin dalla nascita credo che possa farlo con un vantaggio, fatto di conoscenze e sensibilità. C'è, nel suo intervento, una parte più politica di altre, nel senso nobile di politica, termine che deriva da quel "politico", che viene dal latino "politĭcus", a sua volta ricavato dal greco "politikós, che riguarda i cittadini" e l'amministrazione della "pólis", che viene appunto da "polítēs, cittadino".

Scrive il Vescovo di Aosta in un suo passaggio: «Il contesto nel quale viviamo è caratterizzato da una forte e persistente crisi economica che genera mancanza di lavoro e povertà, ma anche insicurezza nella vita presente e sfiducia verso il futuro. Questa situazione si collega con tante questioni che interpellano il nostro mondo come la crescita delle diseguaglianze, la denatalità, le crisi familiari, i fenomeni migratori, i tanti conflitti sparsi nel mondo, l'aggressività e la violenza nelle relazioni interpersonali, la mancanza di rispetto per il creato. Questi fenomeni poi denunciano una crisi di valori condivisi e di una visione aperta e solidale del futuro. Malgrado tutto dica il bisogno di maggiore solidarietà, di legami fraterni e di coesione d'interessi, emergono sempre più un diffuso individualismo e pratiche sociali e politiche che perseguono solamente interessi particolari. Così le relazioni, non solo quelle personali e familiari, ma anche quelle di carattere civico, sociale e politico si scoprono fragili, disorientate e a rischio di chiusura. Proprio in questo contesto, noi cristiani vogliamo fare esperienza e testimonianza che, uniti a Gesù, è possibile dare e ridare senso e qualità alle relazioni quotidiane, da quelle più dirette (amicizia, coppia, famiglia, lavoro, studio...) a quelle più ampie (villaggio o condominio, paese o quartiere...). Il farsi abitare da Cristo diventa possibilità di vita fraterna, di legami buoni e di futuro solidale, pur nella fragilità dei nostri tempi e nonostante le paure e le tentazioni di chiusura che attraversano la società. La comunità cristiana (familiare, parrocchiale, religiosa) con il suo solo esserci deve dire che in Gesù Cristo è possibile stare insieme da fratelli! Se non tendiamo a questo, spegniamo ogni annuncio». Ovvio il messaggio pastorale insito in queste parole, ma credo che in fondo queste considerazioni possano toccare qualunque cittadino valdostano, qualunque sia il suo credo o anche l'eventuale scelta di laicità. Aggiunge Monsignor Lovignana: «Colpisce quanto viene registrato nei tavoli dell'assemblea: "Pur riconoscendo la partecipazione alla vita sociale e politica come un compito fondamentale per i cristiani, si osserva una generale delusione e diffidenza nei confronti della politica, che spinge le persone a delegare la gestione della cosa pubblica agli amministratori, senza sentirsi realmente corresponsabili, e fa nascere l'impressione che sia quasi impossibile conciliare i valori cristiani con il servizio alla comunità attraverso l'impegno politico". Parallelamente registriamo la buona partecipazione al percorso #iopartecipo, offerto ai giovani per prepararsi ad una presenza cristiana consapevole nella vita sociale e politica di oggi. E' una luce di speranza che si accende, perché la dimensione politica è importante per la testimonianza cristiana che, scaturendo dal mistero dell'incarnazione di Cristo, non può non radicarsi attivamente nella storia degli uomini. Così la nostra testimonianza è interpellata dal fatto che in questo anno pastorale cadono le elezioni regionali, momento alto di partecipazione democratica nel quale ogni elettore può esprimere il proprio giudizio sull'operato di quanti erano stati chiamati a governare la cosa pubblica e sui programmi che vengono esposti per il futuro. Non possiamo e non dobbiamo, come credenti, coltivare indifferenza e astensionismo, neppure vogliamo votare a scatola chiusa e solo per senso di appartenenza; occorre invece informarsi, confrontarsi e verificare con attenzione i programmi proposti, l'onestà delle persone e la loro libertà rispetto a interessi personali. Non dobbiamo avere paura di interrogarci e interrogare circa la corrispondenza dei programmi con il Vangelo e con la dottrina sociale della Chiesa. Oggi i falsi dogmi del politicamente corretto e di un certo modo di intendere il progresso rischiano di invischiare anche noi credenti. Ci sono però dei punti sui quali non si possono fare compromessi al ribasso; penso alla vita, alla famiglia, al lavoro e alla salute per tutti, alla custodia del creato, al rispetto della dignità personale, alla pace. E l'attenzione non può fermarsi al momento del voto. Non è giusto delegare e poi disinteressarsi di ciò che viene deciso in nostro nome. Bisogna accompagnare e non lasciare soli i decisori, perché ci rappresentano. Abitare le relazioni sociali significa anche pensare alla possibilità di impegnarsi personalmente a favore della propria comunità civile, attraverso il volontariato, il lavoro sociale, il servizio amministrativo e politico. L'impegno del singolo chiama in causa tutta la comunità cristiana. Se è vero che il credente laico che decide di impegnarsi in ambito sociale e politico lo fa con autonomia e responsabilità personali, è anche vero che il legame con la sua comunità resta vitale, dal momento che è nella comunità e dalla comunità che riceve il Vangelo e la grazia di Gesù Cristo che ispirano e sostengono il suo agire. Come cristiani siamo anche chiamati a dare un contributo di metodo alla qualità del dibattito politico che rischia di scadere a livelli molto bassi. A partire dal dialogo tra colleghi fino agli interventi nelle sedi o nei dibattiti istituzionali proviamo a testimoniare la carità cristiana attraverso il rispetto delle persone, delle idee e delle posizioni degli altri, proviamo a ricondurre il confronto nei binari dell'argomentazione razionale, proviamo a tenere davanti agli occhi non gli egoismi di parte o le reazioni emotive delle persone, ma il bene comune». Questo termine così usato e talvolta abusato di "bene comune" acquista qui un significato profondo, così come gli ammonimenti e gli appelli, che ripeto finiscono per avere un valore universale per evitare che la politica sia una cosa astrusa e distante e che il segno dell'epoca sia la violenza verbale, la maleducazione reciproca, l'assenza del dialogo, che è la fonte necessaria per la democrazia. Certi ammonimenti suonano, comunque la si pensi, come un appello al buonsenso, che non si può non condividere.