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24 set 2017

Spagna insensata verso la Catalogna

di Luciano Caveri

Ci sono storie in giro di questi tempi talmente orribili e minacciose che quando si creano inutili situazioni di crisi - che volgono al peggio - mi indigno e mi preoccupo. Specie quando, appunto, se ne dovrebbe fare a meno, agendo sul buonsenso contro la stupidità. Non capisco di conseguenza perché la Spagna giochi con la pazienza dei catalani, buttando sul piano giudiziario - che sia la propria Corte Costituzionale o la giustizia penale - un problema che ha anzitutto un aspetto politico, poi giuridico. L'aspetto politico è chiaro: la Spagna non è la Catalogna, che ha dimostrato due cose. La prima è la crescente fierezza di Barcellona - risultati elettorali alla mano - della propria diversità e la considerazione che il regime autonomistico non è più sufficiente.

Per cui la risposta politica del "no" al referendum per l'indipendenza assume toni puerili quando Madrid dice «se insistete ci togliamo anche quello che avete». Geniale idea per buttare benzina sul fuoco. Aggiungerei che gli spagnoli dovrebbero apprezzare la procedura democratica scelta dalla Catalogna, che per altro potrebbe avere anche una risposta contraria all'indipendenza, specie pensando alla violenza che insanguinò i Paesi Baschi, che per fortuna hanno scelto poi di abiurare il terrorismo. Per cui chi ha sempre scelto la strada pacifica va punito? Capisco bene che il timore è l'effetto domino, ma forse è ora di riflettere sul fatto che se gli Stati sono destinati a cambiare assetti questa è la Storia e lo Stato Nazionale inteso come oggi lo conosciamo non è sempre esistito e non è detto che sia l'assetto istituzionale di questo secolo. Il punto di giunzione fra politica e aspetti del Diritto viene dalle parole, poi inquadrate ore dopo con qualche differenza per motivi diplomatici, dal Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, vecchia volpe sulla scenario continentale: «Abbiamo sempre detto che rispetteremo la sentenza della Corte Costituzionale spagnola e del Parlamento spagnolo. Ma è ovvio che se un giorno l'indipendenza della Catalogna vedrà la luce rispetteremo questa scelta. Ma in quel caso la Catalogna non potrà diventare membro dell'Unione Europea il giorno successivo al voto. Deve essere sottoposta ad un processo di adesione come è stato fatto per i Paesi che sono entrati dopo il 2004». Sulla Scozia, dove il referendum si è fatto senza tante scene da hidalghi ma con aplomb anglosassone, c'erano state dichiarazione analoghe, ma poi il voto sul l'indipendenza ha visto vincere i "no". Ma ha ragione Londra e non Madrid: l'autodeterminazione non vale solo per i Paesi che dovevano uscire dal colonialismo, perché è un principio universale e che si evolve nel tempo, mantenendo la sostanza della propria forza, come dimostra il tentativo in corso da parte del Kurdistan e di quel popolo, i curdi, da sempre maltrattato. Si tratta di un principio di libertà senza se e senza ma e ogni tentativo di minacciare, punire e condannare diventerà come un boomerang. Situazione assai negativa di cui, con tutti i guai che ci sono già in Europa, sarebbe bene che i governanti spagnoli evitassero di assumersi la responsabilità di accendere una crisi istituzionale. Personalmente sono pronto, come immagino milioni di europei, a partire per Barcellona domattina per dire forte e chiaro che i fuochi vanno spenti e non accesi e che, in un mondo insanguinato dalle guerre, preoccuparsi degli esiti di un voto democratico è insensato.