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08 set 2017

Non dimenticarsi della siccità

di Luciano Caveri

La storia del «Piove, Governo ladro!», espressione che tutti noi - scherzosamente - abbiamo adoperato almeno una volta, ha radici antiche. Nel 1861 i mazziniani avevano preparato a Torino una dimostrazione. Ma quando venne il giorno fissato, incominciò a piovere così tanto da indurli a rinviare questa mobilitazione. "Il Pasquino", rivista satirica, commentò il caso pubblicando una vignetta di Casimiro Teia: tre mazziniani al riparo della pioggia dirotta, con sotto la legenda: «Governo ladro, piove!». Secondo altri, però, l'esclamazione ha un'origine più antica e risale a quando il Granduca di Toscana mise la tassa sul sale. Allora la pesa avveniva nei giorni di pioggia. Il sale, ovviamente, pesava di più perché bagnato.

Un'altra ipotesi, attribuisce la nascita dell'espressione ai contadini del Regno Lombardo-Veneto: quando pioveva prevedevano un raccolto più abbondante, e dunque tasse in proporzione più salate da versare al governo. Par di capire che, per generale riconoscimento, sia buona la prima. Ci pensavo un mesetto fa, mettendo da parte un ritaglio di giornale, riapparso oggi sulla mia scrivania, che non è proprio l'ordine nella sua massima espressione. Era un pezzo tratto dalla rubrica su "Avvenire" di Paolo Massobrio, giornalista ed esperto di economia agricola e enogastronomia, incidentalmente ottimo conoscitore della Valle d'Aosta e non solo per le eccellenze presenti nella sua celebri pubblicazioni. Scriveva Massobrio: «C'è la siccità: di chi è la colpa? "Non piove, governo ladro!". L'approccio italiano ai problemi che diventano emergenza è sempre uguale: cercare un colpevole. Ieri un quotidiano non lasciava scampo: "Per un chilo di riso 3.400 litri d'acqua". Così il benestante appena uscito dalla doccia, sfogliando il giornale al bordo della piscina, si sarà indignato: perché lo spreco è nell'agricoltura, mica nei comportamenti poco ponderati di tutti i giorni... Ogni italiano, secondo le statistiche, consumerebbe 245 litri d'acqua al giorno. Troppi. Bisognerebbe insegnarlo nelle scuole all'ora di educazione civica, che nulla è inesauribile e quindi non si può sprecare, a cominciare dall'acqua. Quest'anno la siccità, che non è un fenomeno nuovo, sta picchiando duro, con danni all'agricoltura nostrana che si avvicinano - secondo "Coldiretti" - ai due miliardi di euro. Le vacche producono meno latte, le patate sono piccole e i cereali daranno un raccolto ridotto di almeno un terzo. Solo la vite sembra trarne beneficio ma, se non arriva la pioggia, lo stress idrico può provocare spiacevoli sorprese anche lì. Il problema della gestione delle acque attraversa tutti i popoli e la sua carenza è causa di conflitti, di spostamenti di interi popoli. Per questo la cultura del non spreco, ma anche quella del riciclo dell'acqua piovana che informava i nostri nonni, dev'essere posta all'ordine del giorno. Cercare un colpevole è solo la strada più semplice». Mi fermo qui e leggo una rubrica successiva dello stesso Massobrio, uscita di recente, che dice: «Se l'annata vitivinicola si presenta buona, aspettiamoci scarsità di funghi e tartufi. La sapienza contadina che viveva sull'empirismo torna d'attualità in questa annata caratterizzata da una siccità eccezionale, che vedrà schizzare in alto i prezzi dei preziosi frutti autunnali. In compenso l'uva è buona un po' ovunque. Così si legge nel rapporto di "Assoenologi" di fine agosto, dove il venti per cento del vigneto Italia è già stato vendemmiato, con un anticipo di due settimane rispetto al 2016. Ma la sorpresa è che non leggeremo più i titoli trionfanti che siamo il primo Paese produttore di vino al mondo (in quantità), giacché la produzione subirà un calo del venticinque per cento, complici le gelate di aprile e i caldi mai visti di luglio e agosto». Il ragionamento sotteso - e che riprendo in sintesi - è che ci vorrebbe sulla siccità e sul cambiamento climatico un'autorevole serie di scelte politiche, che per ora non appaiono ancora all'orizzonte. Tutti sanno quanto personalmente da tempo sottolinei questa necessità e non solo in Italia, dove la situazione di Roma con la crisi idrica dà il senso di una Capitale di un Paese che non si interessa dell'acqua, ma anche nella nostra piccola Valle d’Aosta. Dove - aspettando strategie più globali - per entrambi i corni del dilemma - siccità e cambiamento climatico - qualche cosa di più strutturato, pur nel nostro piccolo, andrebbe definito con convinzione.