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11 set 2017

Pensieri sull'Autonomia

di Luciano Caveri

Piacere a tutti è impossibile, eppure, in politica così come nella vita, in tanti ci provano: la logica è quella, per non scontentare nessuno dei possibili elettori, di giocare sul crinale dell'ambiguità, scegliendo o di dire cose talmente generiche da non dispiacere al potenziale votante oppure usando la tattica di sostenere cose diverse a seconda di che cosa l'interlocutore voglia sentirsi dire. Niente «pane al pane e vino al vino» in una navigazione che può farsi perigliosa, se ci si trova stretti all'angolo, ma in Valle d'Aosta - in assenza totale di possibilità di confronti televisivi all'ultimo sangue - resta, per chi ne fa parte, il palcoscenico del Consiglio Valle e dunque talvolta si può giocare per restare al di sopra della mischia oppure si può scegliere persino di tacere in passaggi in cui il bianco o il nero siano così evidenti da non lasciar spazi grigi.

Per altro chi segue il Consiglio Valle via Web o in televisione ha già le idee chiare e dunque si tratta più di tifoserie che di pubblico generico, per cui chi traccheggia sulle proprie reali posizioni su singoli temi è in grado di galleggiare in una specie di limbo. Questo vale, in maniera plateale, per la famosa "area autonomista", cioè quell'insieme di forze politiche e di loro esponenti cui dovrebbe stare al cuore la conservazione e lo sviluppo del regime di Autonomia speciale della Valle d'Aosta. Che ci siano delle nuances, che differenzino in tutto o in parte, le posizioni degli uni e degli altri ci può stare: non tutti, per fortuna, siamo uguali e ciascuno può occupare degli spazi diversi, pur nel quadro di un pluralismo di cui la Südtiroler Volkspartei è esempio mirabile, essendo un partito di raccolta. Ciò evita, con forme di equilibrio democratico interno, le diaspore quando i partiti diventano personalisti. Ma la coerenza delle idee deve fare i conti con due fenomeni, che risultano utili per effettuare un qualche distinguo. Il primo è l'autonomismo "centrista", cioè quello nato per non scontentare nessuno. La dichiarazione, scavando nei percorsi personali e nelle posizioni politiche, è del genere «Certo che sono autonomista, ma...». Quel «ma» finisce per essere un manifesto e cioè «certo che sono autonomista ma all'insegna di un moderatismo, che fa sì che - ad esempio nei rapporti con Roma e dunque con il potere politico centrale - più che affermare i diritti dei valdostani in maniera educata ma anche con toni ruvidi - se necessario - si segue la logica della conoscenza di Tizio, della spintarella di Caio, del piacere più che dell'interlocuzione decisa e non blandamente difensiva. Questo fa la differenza, ve lo posso assicurare». Esiste poi l'autonomismo "dichiarativo" e non comportamentale. Vale a dire «affermo, specie nelle celebrazioni ufficiali e soprattutto in campagna elettorale, un serie di cose sul futuro dell'Autonomia e poi me ne dimentico, specie quando si osservano questioni puntuali, che poi finiscono in cavalleria nella quotidianità. Soprattutto perché ai diritti seguono anche dei doveri e questi in genere vanno un pochino stretti, perché esiste anche un'etica in politica, anch'essa ottima per i proclami ma spesso destinata a svaporare nella realtà». Per cui se è vero come è vero che si deve uscire dal "ginepraio autonomista", diventato come un dedalo in cui non si distinguono bene le cose e le persone, è altrettanto vero che questo deve avvenire con un "filo di Arianna", come quello che servì appunto per uscire dal labirinto nella mitologia classica. Ma ciò comporta tempi che non sempre coincidono con l'incalzare degli appuntamenti elettorali - altro elemento di complicazione - che sembrano ormai dettare in maniera quasi esclusiva le scelte politiche. Legittimo in parte che sia così, perché anche il più snob non può non pensare al peso della rappresentanza e al ruolo nelle Istituzioni, a condizione che la fretta non sia assorbente di logiche di medio e lungo periodo, spesso necessari per rimettere a posto i pezzi di puzzle non semplici da comporre. Chi mi conosce sa quanto mi stia a cuore questa storia dell'unitarietà dei valdostani, intesi nel senso più vasto del termine, che comprende - in campo autonomista - persone di vieille souche con residenti recenti, che hanno capito il valore "costituzionale" di un'adesione allo Statuto d'Autonomia ed ai suoi principi. Non è un fenomeno nuovo questo di un'integrazione politica, perché ha già riguardato migrazioni del passato, che hanno scelto di essere partecipi alla valdostanità: questo modo di essere di un comunità, che non è una statua immobile, ma un fenomeno dinamico che rende necessaria una continua messa in discussione di chi siamo e dove vogliamo andare. Per cui è bene che la discussione, quella vera e non quella opportunistica, ci sia e si sviluppi, sapendo che il confronto con regole e date non può essere permanente, ma deve ad un certo punto fissare le questioni per potere di conseguenza decidere.