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27 ago 2017

Se si perde il fil rouge dell'Autonomia

di Luciano Caveri

Ogni generazione costruisce a sua misura gli anniversari, che sono - non ricordo chi lo ha detto - l'eco del tempo che passa, giunto fino ai giorni nostri. Per altro non fosse così ci troveremmo di fronte a dei buchi di memoria, perché certe celebrazioni sono come dei fari che lampeggiano per evitare il buio dell'oblio, in un tempo che già si distingue per la mancanza di memoria storica. Il grande Mario Rigoni Stern osservava quanto vale per un singolo essere umano, ma anche per una comunità: «La memoria è determinante. E' determinante perché io sono ricco di memorie e l'uomo che non ha memoria è un pover'uomo, perché essa dovrebbe arricchire la vita, dar diritto, far fare dei confronti, dar la possibilità di pensare ad errori o cose giuste fatte. Non si tratta di un esame di coscienza, ma di qualche cosa che va al di là, perché con la memoria si possono fare dei bilanci, delle considerazioni, delle scelte, perché credo che uno scrittore, un poeta, uno scienziato, un lettore, un agricoltore, un uomo, uno che non ha memoria è un pover'uomo. Non si tratta di ricordare la scadenza di una data, ma qualche cosa di più, che dà molto valore alla vita».

Per cui sarà pur vero che il settantesimo anniversario delle vicende che portarono dalla Liberazione del 1945 almeno fino al primo Consiglio Valle eletto del 1949 sono una finestra temporale molto lunga, ma che offre l'opportunità di riflettere sull'Autonomia valdostana e sui passaggi fondamentali per quello che oggi siamo. Va aggiunto che quanto è doveroso in tempo ordinario diventa indispensabile in momenti straordinari, come quelli attuali, in cui alberga una grande indeterminatezza su quale sarà il futuro istituzionale della Valle. Non nascondo a nessuno la mia viva preoccupazione per un calo di tensione politica e morale, che non può essere nascosto da operazioni di cosmesi o brandeggiando spadoni arrugginiti. Perché la sostanza - piaccia o no - è che ogni tanto o ci si abbevera alle fonti oppure si finisce per perdere quel "fil rouge" che dà continuità al pensiero autonomista. Che non è naturalmente, un sito archeologico o un museo delle cere, ma esiste nella misura in cui noi oggi sappiamo reinterpretare il percorso avvenuto e dare - hic et nunc - la freschezza necessaria per adeguarci ai tempi e non essere come dei paleontologi che osservano reperti del passato. Riflettevo su come bisognerebbe rendere viventi, nel raffronto appunto con il quadro attuale in movimento, tutto quel percorso che si può fare iniziare dal maggio del 1945, quando monsignor Jean-Joconde Stévenin presentò, nei locali dell'"Académie Saint-Anselme", un progetto di Statuto articolato che servì come incipit al dibattito sui contenuti del regime autonomistico. Meno di un anno dopo, il 3 marzo del 1947, fu il Consiglio Valle, non ancora votato dal popolo, ad approvare all'unanimità - e ciò dimostra la consapevolezza di una coesione in un momento delicato, quando già si conoscevano i limiti dei decreti luogotenenziali in vigore - il progetto di Statuto d'impronta federalista assai dettagliato, mentre già la Costituente si occupava della Costituzione e poi lo farà con i relativi Statuti Speciali. Il passaggio essenziale è nell'estate del 1947, quando viene approvato l'articolo 116 della Costituzione della Repubblica, che così recitava: "Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto-Adige, al Friuli Venezia Giulia e alla Valle d'Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali". E' su questa base che il 10 gennaio 1948 la "Commissione parlamentare dei diciotto" inizia appunto l'esame degli Statuti speciali regionali, premessa all'iter che porterà poi alla promulgazione del nostro Statuto da parte del Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola il 26 febbraio 1948 con l'apposita legge costituzionale ancora in vigore e che è stata novellata in alcune sue parti, ma soffre di norme di attuazione sempre più rare per avere la necessaria "Autonomia dinamica". Anche il "116" - l'articolo che origina gli Statuti - è stato modificato nel 2001 e non solo con la giusta dizione bilingue, aggiungendo per noi "Vallée d'Aoste", ma anche con il verbo "dispongono" al posto di "sono attribuite", che ha un suo aspetto migliorativo, ma manca ancora un principio d'intesa sulle modifiche future che dia una certa tranquillità contro possibili colpi di mano. L'11 marzo del 1948 - è bene ricordarlo per completezza - il Consiglio regionale votò all'unanimità un ordine del giorno in cui si ricordava che "lo Statuto rappresenta uno sviluppo dell'ordinamento autonomo concesso con il decreto legislativo luogotenenziale", ma se ne segnala nel contempo le debolezze (specie se rapportate alle promesse formulate negli anni precedenti) e dunque si diceva con chiarezza come "le rivendicazioni del popolo valdostano non siano state accolte in modo soddisfacente", dichiarando che "fino a quando non vi sarà autonomia finanziaria non vi sarà una vera e propria autonomia degna di tale nome". Vien da dire che anche oggi questa frase, con i tagli al riparto fiscale in continua progressione, resti di grandissima attualità, perché l'Autonomia la soffochi senza le risorse necessarie per esercitarla. Naturalmente il settantesimo anniversario ha anche il senso di ricordare gli sforzi esercitati dagli allora governanti valdostani sulla Costituente - compreso Séverin Caveri, allora Presidente della Valle e fine giurista - per avere un testo il più possibile rispondente alle speranze dei valdostani, anche se poi si limitarono solo i danni, vista l'incoerenza di chi aveva fatto ben altre promesse e si deve molto al relatore alla Costituente, il sardista Emilio Lussu, che tenne duro su certi aspetti. Certo - a distanza di tanto tempo - non si può che confermare, per chi ci crede ancora e non cede al piccolo cabotaggio, che solo il Federalismo avrebbe assicurato e potrà assicurare in futuro una vera solidità per il futuro istituzionale della Valle d'Aosta.