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20 mar 2017

Ridere

di Luciano Caveri

Già oggi la mia vigilante App (accorciamento di "applicazione" nel linguaggio informatico) che si occupa di salute mi scruta. Lo fa ad esempio per contare quanti chilometri io faccia a piedi ogni giorno, mentre un altro programma controlla quanto duri il mio sonno ogni notte. Spero che prima o poi si inventino (o magari c'è già!) un meccanismo che controlli quante volte io rida in un giorno e devo dire che la mia media giornaliera di risate (dal sorriso alla risata fragorosa) è generalmente elevata. Si sa - da un mare di studi - che il riso stimola le endorfine, sostanze chimiche prodotte dal cervello che aiutano a star meglio e riduce riduce gli ormoni dello stress nel corpo, aiutandolo a distendersi ed a rilassarsi. Inoltre aumentando il flusso sanguigno, ridere pare sia un potente alleato nella lotta contro le malattie cardiache. In più è un esercizio fisico per i muscoli facciali (come si vede dagli emoticon...), l'addome e il diaframma. Incoraggia la creatività e rende più attraenti, come si capisce fin dai primi sorrisi da neonato. Insomma, migliora e allunga la vita, sempre che non si muoia dal ridere. Ho imparato, comunque sia, ad essere vivamente sospettoso di chi non ride o smette di farlo.

Questo perché non è solo il nostro riso a farci bene, ma anche quello degli altri su di noi. Lo raccontava Pablo Neruda in una sua celebre poesia: "Toglimi il pane, se vuoi, toglimi l'aria, ma non togliermi il tuo sorriso. Non togliermi la rosa, la lancia che sgrani, l'acqua che d'improvviso scoppia nella tua gioia, la repentina onda d'argento che ti nasce. Dura è la mia lotta e torno con gli occhi stanchi, a volte, d'aver visto la terra che non cambia, ma entrando il tuo sorriso sale al cielo cercandomi e apre per me tutte le porte della vita. Amor mio, nell'ora più oscura sgrana il tuo sorriso, e se d'improvviso vedi che il mio sangue macchia le pietre della strada, ridi, perché il tuo riso sarà per le mie mani come una spada fresca. Vicino al mare, d'autunno, il tuo riso deve innalzare la sua cascata di spuma, e in primavera, amore, voglio il tuo riso come il fiore che attendevo, il fiore azzurro, la rosa della mia patria sonora. Riditela della notte, del giorno, della luna, riditela delle strade contorte dell'isola, riditela di questo rozzo ragazzo che ti ama, ma quando apro gli occhi e quando li richiudo, quando i miei passi vanno, quando tornano i miei passi, negami il pane, l'aria, la luce, la primavera, ma il tuo sorriso mai, perché io ne morrei".

Romanticismo? Non solo. Con il passare degli anni, mi accorgo di essere sempre più propenso a frequentare solo amici con cui si ride volentieri in una sorta di rito collettivo di simpatia reciproca e di decompressione rispetto al gravame delle preoccupazioni. L'acme - ci pensavo l'altro giorno guardando il "fou-rire" di una presentatrice di telegiornale, che non riusciva a smettere di ridere - è propria la "ridarola" o "ridarella", cioè quell'ilarità incontrollabile e spesso inopportuna che ti lascia stremato ma felice, come una sorta di reset benefico.