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02 dic 2016

Quando l'intesa è un azzardo

di Luciano Caveri

I tre grandi partiti autonomisti, quello della Provincia di Bolzano/Bozen (Südtiroler Volkspartei), quello della Provincia di Trento (Partito Autonomista Trentino Tirolese) e quello della Valle d'Aosta (Union Valdôtaine) voteranno a favore del referendum costituzionale. E' una posizione che non condivido e dirò brevemente il perché, occupandomi di un solo punto decisivo, anche se ci sarebbe molto altro da argomentare. Una premessa è necessaria: i parlamentari autonomisti, espressione di questi partiti, hanno votato a favore della riforma in tutti i passaggi dell'iter parlamentare, per cui era ovvio - malgrado una certa melina dell'UV prima di annunciare il proprio "sì" - che i movimenti di appartenenza non potessero che legittimare la scelta effettuata dai propri eletti in Parlamento e questo vale più in generale per lo stretto legame creato sulla fiducia con Matteo Renzi.

Va ricordato che i loro voti erano indispensabili per l'approvazione della riforma al Senato, specie nell'ultimo e decisivo voto. Tutto si è giocato sulla "norma transitoria" e cioè sulla applicabilità o no della riforma alle Speciali in quella parte del regionalismo dimezzato che emerge dal disegno Renzi-Boschi, che è davvero una controriforma rispetto alle aperture del "quasi federalismo" del 2001, quando il centrosinistra votò da solo una corposa riforma costituzionale. Allora - per fare un minimo di cronistoria - non venne prevista (e per questo io votai contro) nessuna logica d'intesa con le Speciali in caso di riforma degli Statuti, ma venne scritta una norma di maggior favore, che dimostrava con molta semplicità come quella riforma del regionalismo fosse più avanzata in molte parti rispetto agli stessi Statuti in vigore. Infatti si diceva: "sino all'adeguamento dei rispettivi Statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano per le partiti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite". Quella riforma, poco tempo dopo, venne corretta - in negativo per le Regioni - dal Governo Berlusconi, sempre con un voto unilaterale, questa volta del centrodestra. Ma - attenzione! - questa volta si prevedeva all'articolo 116 della Costituzione il principio dell’intesa, così espresso rispetto alla riforma statutaria che doveva avvenire, con un meccanismo di "previa intesa con la Regione o Provincia autonoma interessata sul testo approvato dalle due Camere in prima deliberazione. Il diniego alla proposta di intesa può essere manifestato entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con deliberazione a maggioranza dei due terzi dei componenti del Consiglio o Assemblea regionale o dal Consiglio della Provincia autonoma interessata. Decorso tale termine senza che sia stato deliberato il diniego, le Camere possono adottare la legge costituzionale". Ma la bocciatura nel 2005 della riforma, che faceva pena e andava cassata, riportò le cose alla riforma del 2001. Poi arrivò Matteo Renzi ed iniziò a mettere sul piatto la sua riforma che mira, per quel riguarda il regionalismo, ad umiliarlo in favore dello strapotere dello Stato. Chi dice il contrario è in malafede. Si cominciò dunque a studiare che fare delle Speciali, che Renzi - in un suo noto libro - riteneva tout court che dovessero essere soppresse, ma va detto che il suo partito, il Partito Democratico, si è durante il dibattito parlamentare espresso verso la vera direzione: quella di macroregioni che ingloberebbero le Regioni più piccole, come la Valle d'Aosta. Ma in questa riforma non si poteva fare, perché al Senato - come dicevo - i numeri senza i parlamentari autonomisti non c'erano. A Courmayeur, di recente, Luciano Violante lo ha detto: non si poteva sopprimere la Specialità perché non avevamo i numeri. Anche un'altra esponente di primo piano del Partito Democratico, Alessia Morani, spesso ospite dei talk show televisivi, una decina di giorni fa aveva spiegato a "La7" che era volontà della maggioranza ridimensionare anche le Regioni e Province a Statuto speciale, ma c'era appunto un problema di voti per la maggioranza in Parlamento. Poi a "Radio 24" sul tema è tornato lo stesso Renzi: «Le Regioni a Statuto speciale non sono toccate dalla riforma costituzionale. Perché il Parlamento o ha scelto di mantenerle in ottemperanza ai principi del passato o - come io penso - perché non c'erano i numeri per poter cambiare». La clausola di salvaguardia che entrerebbe in vigore con il "sì" ha avuto vita travagliata. Inizialmente c’era un secco "le disposizioni non si applicano alle Regioni a Statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano", in seguito alla Camera si è detto nella stessa parte che non si applicano "fino all'adeguamento dei rispettivi Statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome", poi al Senato il testo diventa più complesso, prevedendo in sostanza che valgano anche le norme di attuazione e non solo gli Statuti. Infine - verso la conclusione dell'iter - ci si accorge che quella dizione "adeguamento" è un trappolone e la versione finale dice ora che la non applicazione del cuore della riforma non avviene "fino alla revisione dei rispettivi Statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome". "Revisione" è meglio di "adeguamento", ma come l'intesa dovrebbe avvenire resta un mistero ed è un percorso che può diventare ad ostacoli, specie perché questa intesa non è a regime, come nella versione del centrodestra che ho scritto poco fa, ma avviene solo una tantum per la prima riforma. Oltretutto, se vincesse il "sì", la riforma costituzionale con un Parlamento al guinzaglio del Governo con certe maggioranze alla Camera e con il Senato pseudoregionalista diventerebbe uno scherzetto per chi governa. Esiste una differenza fra la situazione dei valdostani e quella dei sudtirolesi e trentini che, in tournée ad Aosta, assicurano tranquillità anche per noi? Certamente, perché i sudtirolesi - e la tutela si allarga fortunosamente ai trentini - vale la "garanzia internazionale" dell'Austria, già adoperata in passato e che fa sì che toccare quella specialità crei un problema internazionale e dunque "chi tocca muore". Noi valdostani non ce l'abbiamo e dunque sentirsi garantiti come gli amici dell'altra parte delle Alpi è un puro esercizio di stile, che non ha analogo fondamento giuridico. Aggiungo solo che sarebbe triste fare l'elenco delle cose ottenute - penso alle norme d'attuazione - dal Trentino-Alto Adige/SüdTirol nel rapporto con il Governo Renzi rispetto al magro bottino della Valle Aosta/Vallée d'Aoste. Per questo: non mi fido, non "sto sereno" e - nel quadro di una riforma costituzionale sciagurata - mi sento un valdostano con la coscienza più che a posto a votare "no". E - aggiungo in chiusura - sono scandalizzato dalle troppe voci che dipingono lo scenario catastrofico, al limite del grottesco, nel caso di bocciatura della riforma.