Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
23 nov 2016

Moto, auto e... libertà

di Luciano Caveri

Mi faceva tenerezza ieri mattina una coppia di ragazzini chiusi nei loro piumini colorati sul motorino, con lei avvinghiata a lui, in una mattinata di Novembre con la temperatura sottozero: ci sono immagini che ti riconciliano con la vita e bisogna sforzarsi di coglierle per dipingere la giornata con dei colori diversi dal rischio incombente del grigiore autunnale e di un mondo balengo. Per me la loro vista è stata come un flashback, che mi ha riportato - con uno di quei viaggi nel tempo a costo zero - agli anni Settanta quando mi capitava, giovane ginnasiale, di andare in moto, anche nella cattiva stagione, con il mio cinquantino da Verrès ad Aosta e ritorno (un'ottantina di chilometri). Idem con la "Vespa" da liceale, questa volta da Verrès ad Ivrea con qualche chilometro in meno.

Bardato ero bardato con la panacea contro il gelo fatta da vecchi giornali a coprirti la pancia sotto il maglione, utili specie nei gelidi e umidi rettilinei lungo la Dora, anche se beninteso all'epoca nessuno pensava a mettersi il casco, senza avere esatta coscienza dei rischi che correvamo. Se già la moto, con scorribande infinite che seccavano il serbatoio, dava un senso di evidente libertà contro la schiavitù del treno, del pullman e dell'autostop, il passaggio alla macchina da questo punto di vista fu da considerarsi la vera rivoluzione e l'auto lo è stata davvero, anche se ogni tanto sembriamo destinati a dimenticarcelo abbacinati dal fulgore delle nuove tecnologie. Sentivo l'altro giorno che uno dei momenti più felici della giovinezza è considerato il primo stipendio (il mio fu nell'estate del 1976 da apprendista fotografo, ma in nero avevo già lavorato a scaricare delle casse), penso però che non ci sia sensazione più forte e adrenalinica del primo mezzo di locomozione, che sancisce la raggiunta mobilità. Chissà se il misterioso Mogol si riferiva a questa possibilità di muoversi nel testo de "La collina dei ciliegi", interpretato dal grande Lucio Battisti: «... e respirando brezze che dilagano su terre senza limiti e confini ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini e più in alto e più in là se chiudi gli occhi un istante ora figli dell'immensità».

Ma forse esagero... Ancora oggi, quando mi capita di cambiare macchina, sento qualche frisson che deriva anche da quell'odore di nuovo, che credo sia ormai uno spray spruzzato apposta negli abitacoli. Eppure bisogna prendere atto di un mondo che cambia e l'ho visto con i miei figli più grandi: nessuno dei due, anche se abitano distanti dal centro, ha voluto la moto all'età canonica e quando hanno avuto la possibilità di prendere la patente della macchina hanno atteso per farlo, un po' meno Laurent (che poi con lavoro estivo si è comprato pure la moto) e di più Eugénie che non ha ancora dato la prova pratica ad oltre un anno dalla maggiore età! E' vero che trovavano modo per farsi portare avanti indietro dai genitori, specie dalla mamma ma anche da amici, ma stupisce davvero questa mancanza di un afflato di libertà, come noi consideravamo l'ottenimento di un mezzo di locomozione a motore. D'altra parte ogni generazione ha le sue caratteristiche e stupirsene non serve a nulla. La mia generazione ha assistito al motorizzarsi, cioè alla diffusione popolare prima delle moto (mio papà veterinario cominciò la professione con una "Lambretta") e poi delle auto (nel caso della nostra famiglia fu una "Topolino") con una evidente escalation nelle misure. Se penso che nella casa dei miei genitori nel garage che sembrava più grande - che ospitò una serie di "Giulia Super", considerata la macchina per le grandi occasioni - oggi non entrerebbe più neanche una macchina di piccola cilindrata, come dimostrano anche i centri storici dei paesi - compresa la via De Tillier di Aosta - dove una volta transitavano auto in entrambe le direzioni. Per cui l'ottenimento di un mezzo con cui circolare era l'aria dei tempi e crescevamo già con questa impronta, che evidentemente nel tempo si è attenuata nel mutare dei costumi e dei comportamenti. Basta guardare i migranti che arrivano da noi, che - mutatis mutandis - quando riescono a ottenere una bicicletta con cui aggirarsi sono contenti come delle pasque, a dimostrazione di quanto ho scritto fino adesso.