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26 ott 2016

Prodotti sulle Alpi

di Luciano Caveri

Per anni sono stato a capo della "Via Alpina", la sentieristica che - attraverso tutto il massiccio alpino - mirava, in una logica di lentezza da camminatori e non di corsa come gli atleti, a proporre un attraversamento, così descritto nell'apposito sito: "La Via Alpina: una rete di cinque itinerari escursionistici attraverso gli otto Paesi dell'arco alpino, più di cinquemila chilometri e 342 tappe giornaliere. Troverete qui la descrizione ufficiale di tutte le tappe, un ventaglio di offerte turistiche e del patrimonio, le esperienze vissute da numerosi escursionisti e molte altre informazioni per preparare on line il vostro viaggio sulle Alpi!". Da notare che fra i cinque itinerari (rosso, viola, giallo, verde e blu) il rosso e il blu toccano anche la Valle d'Aosta.

Se uno si volesse divertire potrebbe anche associare le diverse tappe a prodotti gastronomici caratteristici: i capisaldi restano la trasformazione di salumi e insaccati vari e poi i formaggi in centinaia di varianti. In molti casi questi prodotti sono ormai protetti dai diversi label europei che garantiscono disciplinari e qualità. Se si cammina, immagino che si potrebbero evitare eccessi di colesterolo... Ci pensavo leggendo Angelo Carrillo e il suo blog "Gustosamente" sul quotidiano "Alto Adige", quando racconta la storia di uno dei prodotti di certo più venduti, vale a dire lo speck sudtirolese. Così ne racconta la storia: «I primi documenti in cui viene nominata la parola "speck" risalgono al XVIII secolo, ma esso compare già nel 1200, pur con nomi e definizioni differenti, nei regolamenti dei macellai e nei registri contabili dei principi tirolesi. Inizialmente veniva prodotto per la necessità di conservare la carne, ed era destinato al consumo famigliare. La conservazione avveniva essenzialmente tramite la salatura e l'affumicatura; il primo metodo (che, portando alla disidratazione, impedisce lo sviluppo dei germi) era ed è tuttora quello tipico dei prosciutti di area mediterranea. L'affumicatura, invece, (esposizione al fumo di legni aromatici) è il sistema preferito nel nord Europa per conservare la carne». 
Poi la spiegazione di dettaglio: «L'Alto Adige, trovandosi in una posizione intermedia rispetto alle due zone e godendo di un particolare clima, ha fuso i due metodi: lo "Speck Alto Adige igp" viene prodotto secondo la tradizionale regola "poco sale, poco fumo e molta aria", che consiste essenzialmente in una salatura moderata e nell'alternanza di fumo freddo e aria fresca. Inizialmente lo speck rappresentava soprattutto per i ceti meno abbienti l'unica opportunità di mangiare carne e far fronte, così, al fabbisogno di lipidi. Col tempo divenne protagonista di banchetti in occasione di festeggiamenti e cerimonie di benvenuto: ancora oggi costituisce, con il pane e il vino, uno dei punti cardine della merenda sudtirolese. Da qualche anno allo "Speck igp" si è aggiunto anche lo "Speck del contadino" fatto con maiali allevati in Alto Adige, e da pochissimo anche lo "Speck dei contadini macellato", proprio come una volta in casa. Insomma, si torna indietro per guardare avanti». Questo che viene dal SüdTirol è uno spunto interessante: come si sa sia per il "Jambon de Bosses" che per il "Lard di Arnad", le due "dop" valdostane, il prodotto da lavorare può provenire da suini allevati nel territorio delle regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Ben sappiamo che la percentuale di "maiali locali" è molto bassa, anche per le oggettive difficoltà di ospitare porcilaie di una certa grandezza per i fattori di inquinamento ambientale ma è interessante questa differenziazione dello speck, che certo eleva i prezzi d’acquisto per i consumatori. Lo stesso vale - in questa logica di valorizzazione di certe produzioni - anche per i formaggi: pensiamo in Savoia alla differenziazione fra "Reblochon laitier", che viene prodotto in caseificio una volta al giorno a partire da più partite di latte e il "Reblochon fermier", prodotto in fattoria due volte al giorno dopo la mungitura e solo con il latte della stalla dell'azienda. Da noi si discute su come differenziare la "Fontina d'alpeggio" da quella di caseificio di fondovalle: una svolta che - conclusa la sperimentazione in corso - potrebbe davvero avere un suo perché.