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24 mag 2016

Votare o tirare a sorte?

di Luciano Caveri

Uno può raccontarsela come vuole, ma è indubbio che Internet e i suoi figlioletti "social" hanno ristretto la lettura dei libri. La possibilità di passare di palo in frasca attraverso la Rete permette meno concentrazione e più dispersione. Per cui capita di leggere dei libri un po' più tardi dalla loro uscita, perché si è stati distratti. Pensavo ad un volume di David Grégoire Van Reybrouck, classe 1971, scrittore, storico ed archeologo belga di lingua fiamminga e al suo provocatorio ma documentato "Contro le elezioni, perché votare non è più democratico", editore Feltrinelli. L'autore - che cito da qui in poi traendo frasi puntuali dal suo libro in una sorta di riassunto - parte dalla crisi di legittimità degli attuali meccanismi democratici: una crisi della legittimità che si manifesta attraverso tre sintomi innegabili.

Innanzitutto, sempre meno persone si prendono la briga di andare a votare. L'astensionismo sta diventando la principale corrente politica in Occidente. In secondo luogo, parallelamente all'astensione, c'è l'incostanza degli elettori. Non solo gli elettori europei vanno a votare di meno, ma il voto è sempre più volubile. In terzo luogo, c'è sempre meno gente che aderisce ad un partito politico. Aggiungiamoci poi un sistema mediatico che ha perso la testa e che, fedele alle logiche di mercato, preferisce ingigantire conflitti futili piuttosto che analizzare problemi reali, soprattutto in un periodo di calo delle quote di mercato dell'audiovisivo. C'è poi da rilevare che la professione del politico ha lo stesso destino di quella dell'insegnante: un tempo era una funzione nobile e prestigiosa, oggi un mestiere da cani. Riassumendo: astensionismo, instabilità elettorale, emorragia dai partiti, impotenza amministrativa, paralisi politica, paura della sconfitta elettorale, penuria di posti di lavoro, bisogno compulsivo di farsi notare, febbre elettorale cronica, stress mediatico estenuante, sospetto, indifferenza ed altri mali tenaci. Vediamo delinearsi i contorni di una sindrome, la sindrome di stanchezza democratica , una malattia che non è ancora stata studiata sistematicamente, ma di cui indubbiamente soffrono varie democrazie occidentali. Così emerge il populismo: i politici sarebbero dei carrieristi, dei parassiti, degli approfittatori scollegati dalla realtà, essi penserebbero solo a riempirsi le tasche, non avrebbero alcuna consapevolezza della vita della gente comune e farebbero meglio a togliersi dai piedi. Per cui emergono fenomeni la cui idea è che ci si possa fondere organicamente con la massa, impregnandoci dei suoi valori e con la perfetta coscienza dei suoi desideri mutevoli, ma ciò rientra nell'ambito del misticismo più che della politica. Non c'è un pensiero sotto, è solo marketing. Così la lentezza e la complessità del processo decisionale democratico portano alcuni a dubitare della democrazia stessa. Di fronte alle sfide colossali e urgenti sollevate dalla crisi dell’euro, per esempio, si cercano sistemi più efficaci. La tecnocrazia è allora rapidamente percepita come la soluzione, che poi si scioglie come neve al sole. Si sviluppa poi l'antiaparlamentarismo e, lo si dimentica spesso oggigiorno, va ricordato come il fascismo ed il comunismo fossero, in origine, dei tentativi di dinamizzare la democrazia: sopprimendo il Parlamento, il popolo e il suo dirigente potevano essere più in sintonia (fascismo) o il popolo poteva dirigere il Paese direttamente (comunismo). Oggi siamo diventati tutti dei fondamentalisti delle elezioni. Disprezziamo gli eletti, ma veneriamo le elezioni. Il fondamentalismo elettorale è la convinzione ferrea che una democrazia non sia concepibile senza elezioni, che le elezioni siano la condizione necessaria, fondante, per parlare di una democrazia. Perciò si è ormai in una situazione di campagna elettorale permanente, cosa che ha delle gravi conseguenze sul funzionamento della democrazia: l'efficienza soffre a causa dei calcoli elettorali; la legittimità, per la volontà permanente di essere sotto i riflettori. Il sistema elettorale provoca ogni volta la sconfitta cocente del lungo termine e dell'interesse generale di fronte al breve termine e agli interessi dei partiti. Abbiamo ridotto la democrazia ad una democrazia rappresentativa e la democrazia rappresentativa a delle elezioni. Se non stiamo attenti, degenererà a poco a poco in una dittatura delle elezioni. E qui, con una lunga digressione storica che parte dall'antica Atene e che non ho spazio per riassumere, appare - declinato in diversi modi nella modernità - il sorteggio, considerato il più democratico di tutti gli strumenti politici, ma morto nel Diciottesimo secolo di fronte alle elezioni; queste ultime, tuttavia, non erano mai state in quel frangente concepite come uno strumento democratico, ma come una procedura che consentiva l'accesso al potere ad una nuova aristocrazia non ereditaria. Grazie all'ampliamento progressivo del diritto di voto, questa procedura aristocratica si è integralmente democratizzata, senza rinunciare alla distinzione oligarchica fondamentale tra governanti e governati, tra politici ed elettori. Ma l'analisi torna sulla situazione attuale: ovunque stanno emergendo insoddisfazione, sfiducia e protesta. Ovunque s'impone la questione: non è pensabile un'altra democrazia? Dobbiamo stupirci se, in questo contesto, fa di nuovo capolino l'idea del sorteggio? Che rapporti devono stabilire le autorità con tutti questi cittadini capaci di esprimersi, che oggi strillano a bordo campo? Innanzitutto, devono accoglierli con gioia, piuttosto che con diffidenza. Poiché dietro tutta questa collera, in diretta o fuori onda, si nasconde anche un aspetto positivo, vale a dire l'impegno. Certo se si tratta il cittadino autonomo come un animale elettorale, egli si comporterà come tale, ma se lo si tratta come un adulto, si comporterà da adulto. Con il sorteggio il rischio di corruzione è attenuato, la febbre elettorale si dissipa e si rafforza l'attenzione per il bene comune. I cittadini sorteggiati non hanno forse le competenze dei politici di mestiere, ma hanno un'altra carta vincente: la libertà. Non hanno effettivamente bisogno di farsi eleggere o rieleggere. Poiché i cittadini sorteggiati non devono preoccuparsi del funzionamento di un partito, né fare campagna elettorale o intervenire nei media, essi dispongono di più tempo dei loro colleghi eletti nell'altra Camera legislativa. Possono quindi dedicarsi pienamente ai loro lavori legislativi: acquisire una buona conoscenza dei dossier, ascoltare gli specialisti, deliberare tra di loro. Il sorteggio è una formidabile scuola di democrazia. Le conclusioni: senza una riforma drastica, questo sistema non sopravviverà a lungo. Se si guarda l'aumento dell'astensionismo, la diserzione dei militanti ed il disprezzo che colpisce i politici, se si guarda la difficile gestazione dei Governi, la loro mancanza di efficacia e la severità della "correzione" inflitta dall'elettore alla fine del loro mandato, se si guarda la rapidità del successo del populismo, della tecnocrazia e dell'antiparlamentarismo, se si guarda il numero crescente di cittadini che aspirano a una maggiore partecipazione, e la velocità con cui quest'aspirazione può trasformarsi in frustrazione, ci si dice: «ci resta un minuto». Il nostro tempo è contato. E' molto semplice: o la politica spalanca le porte, o queste non tarderanno a essere sfondate da da cittadini in collera che, scandendo slogan come "No taxation without participation", sfasceranno la mobilia della democrazia, strapperanno il fregio del potere e lo trascineranno in piazza. Sin qui le citazioni di Van Reybrouck. Strano approccio, certo provocatorio e un pelo catastrofista, ma che fa pensare, esercizio salutare.