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11 apr 2016

La ferrovia valdostana senza strategia

di Luciano Caveri

Ci sono sempre più dossier sul tavolo del futuro della Valle d'Aosta, di cui ho una certa conoscenza, che vedo trattare con logiche capricciose e chissà con quali fini, e ciò mi fa dire: che fine sta facendo non solo la nostra preziosa ed oggi pencolante Autonomia speciale, ma soprattutto la necessaria credibilità della politica? Lo dico con serenità e senza rancori. Questo clima di «après moi le déluge!», («dopo di me il diluvio»), mi lascia senza fiato. La frase - lo ricordo - viene attribuita dalla tradizione al Re di Francia Luigi XV, penultimo Re prima della svolta repubblicana, che l'avrebbe pronunciata nel corso di una conversazione con la Marchesa di Pompadour, allo scopo di porre fine alle insistenti esortazioni di occuparsi attivamente degli affari dello Stato.

Ma veniamo ad un caso di scuola di questo clima che turba: da un recente incontro romano, auspice il sindacato ma con l'assenza clamorosa dei parlamentari valdostani (il cui voto al Senato è prezioso per Matteo Renzi, ma sortisce vantaggi stitici per la Valle), si viene a sapere che la linea ferroviaria fra Aosta e Pré-Saint-Didier non è da considerarsi "chiusa" ma "sospesa", forse a mezz'aria come fa il mago Silvan con le sue vallette. Data per morta nella curiosa liaison fa Regione e "Rete Ferroviaria Italiana", che da interlocutore diventa alleato in un mondo diventato alla rovescia, la povera linea torna sulla scena - tipo zombie - come linea a valenza turistica, annuncio che sa di alibi per un congelamento sine die da surgelato nascosto in fondo al freezer. Sappiamo bene che la Regione ha già pagato uno studio per farne pista ciclabile, quando la linea funzionava ancora e dunque puzzava già di morto nelle intenzioni della Giunta regionale di oggi che è grossomodo la stessa di allora, che fanno felice "Rfi Piemonte" (siamo, per le ferrovie, una provincia piemontese...) che da anni si voleva liberare di quello che considera un "ramo secco" da potare (immagino che pensino la stessa cosa della linea "Aosta - Ivrea"). La verità è che di questa vecchia e suggestiva linea di montagna non si conosce a tutt'oggi il futuro per la semplice ragione che, malgrado ci sia da anni una norma di attuazione in materia ferroviaria ferma al palo che fissa diversi scenari possibili, manca una politica ferroviaria valdostana complessiva e prospettica. Ormai si paga questa mancanza di pianificazione per la rotaia, mentre il paradosso sta nel fatto che quella per il trasporto su gomma - i pullman, insomma - è stata decisa a lunghissimo termine e questa scelta è avvenuta en cachette, senza il necessario passaggio in Consiglio Valle, con delibere di Giunta alla fine dello scorso anno dal titolo del tutto inespressivo, che prorogano invece il servizio fino al lontano 2027 con un investimento a venire almeno di una settantina di milioni di euro. Altrove una cosa del genere avrebbe fatto clamore, da noi sembra rimasta chiusa nelle discussioni della politica. Sul treno, invece, si vive nel vago e a colpi di mozioni e ordini del giorno, quando invece basterebbe un bel documento che preveda tempistica e decisioni da assumere con i diversi strumenti di intesa con lo Stato anche attraverso la già citata norma d'attuazione. Ma si preferisce il giorno per giorno e la logica delle cose a spizzichi e bocconi: così certi investimenti colossali - come i treni bimodali - sono sospesi nel nulla, perché la linea principale "Aosta - Ivrea" (meno la "Ivrea - Chivasso", ma la linea dovrebbe puntare su Torino bypassando Chivasso) resta vecchia come il cucco e, almeno per ora, pur sperando nel teletrasporto, i vagoni viaggiano su un itinerario ottocentesco buono per vecchie locomotive. Questo dimostra i rischi di una politica senza discussioni e senza concertazione, in cui - come scrive il politologo Mauro Calise in un suo libro recente su cui tornerò nei prossimi giorni - «Chiusa l'era partitocratica, i partiti sopravvivono solo mettendosi a servizio di un leader». Viene in mente Renzi, certo, ma non solo... La speranza per la Valle d'Aosta di domani sta proprio in una logica comunitaria e di confronto fra varie posizioni e diverse intelligenze contro la sclerosi personalistica del potere, inadatta ad affrontare le epoche di cambiamento. La Monarchia francese lo dimostrò bene e ricordiamo - come memoria - che un anno prima della morte del già citato Luigi XV, nel 1773, Vittorio Amedeo III di Savoia, con la sua politica accentratrice e assolutista, emanò il "Regolamento particolare per la Valle d'Aosta", che in sostanza annullava le secolari prerogative di autonomia degli istituti giuridici e amministrativi valdostani, che si palesarono non a caso inefficaci nella difesa e incapaci di reagire al lento stillicidio di invasioni di campo della politica centralizzatrice sabauda e l'esito finale fu terribile.