Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
25 nov 2015

L'uso improprio del termine kamikaze

di Luciano Caveri

Le parole - lo dico anzitutto a me stesso, perché ogni tanto mi scappano - sono come le pietre e dunque bisogna usarle con l'accortezza di un bilancino da farmacista. Ci pensavo leggendo le cronache di questi giorni e all'uso - nel definire gli islamisti che si fanno scoppiare, suicidandosi con l'esplosivo addosso - del termine giapponese "kamikaze". Parola che a me fa venire in mente i giornalini a fumetti degli anni Sessanta, in cui - facendo finta di niente sulla tragica collocazione dell'Italia nella Seconda guerra mondiale - si esaltavano i vincitori e fra i peggiori nemici, specie degli ammiratissimi australiani e dei "marines" americani, c'erano i "musi gialli" ed i "kamikaze" che si schiantavano sulle navi. Più di recente - nell'utile esercizio di guardare altrimenti la stessa cosa - mi raccontava Giovanni Thoux, insegnante in Giappone, dai Salesiani, subito dopo la guerra, del suocero giapponese che non voleva consentirgli di sposare sua figlia perché gli italiani erano stati - con l'8 settembre del 1943 - traditori dell'Asse "Italia - Germania - Giappone".

Nel sito "Una parola al giorno" si ricostruiscono così le origini della parola, come se commentata da Haruki Ishida, giovane dottore in Lingua e Letteratura italiana dell'Università di Kyoto: "Voce giapponese che significa "vento divino", composto da "kami", che è divinità "shinto", e "kaze - vento". In kanji è scritta "神風". "Kamikaze" è una delle parole giapponesi più famose nel mondo. L'origine etimologica è molto vecchia. Questa parola appare per la prima volta nella mitologia giapponese, ma è diventata famosa nell'epoca Kamakura. Nel 1274 e nel 1281 il condottiero mongolo Kublai Khan mandò delle truppe in Giappone, però entrambe le volte questo progetto è fallito perché grandi tifoni hanno attaccato le navi mongole. I Giapponesi in quest'era hanno chiamato i due tifoni "Kamikaze" e hanno creduto che Giappone fosse protetto da divinità. Questo evento ha reso la parola "kamikaze" famosa". Poi un'annotazione validissima sul contesto contemporaneo rispetto agli eventi bellici: "Ma adesso la parola è conosciuta in altro senso, cioè come "gli attacchi suicidi dei piloti giapponesi" nella seconda guerra mondiale (che, per inciso, noi Giapponesi chiamiamo "Guerra del Pacifico" siccome le armate giapponesi non hanno combattuto in Europa ma principalmente sull'Oceano Pacifico contro gli Stati Uniti). Era un'azione folle. Adesso la parola "kamikaze", in giapponese, non viene più usata. Forse consideriamo questa parola un genere di tabù perché è troppo triste. Ma noi, dall'altro lato, rispettiamo i soldati di kamikaze. Quasi tutti di loro erano soldati semplici. Credevano che i loro attacchi suicidi fossero efficaci per proteggere la patria e la famiglia (possiamo leggerlo nelle loro lettere). Adesso noi viviamo in pace. Quindi li rispettiamo e non li dimentichiamo". Poi lo studioso, la cui visione "morbida" è comprensibile per ragioni patriottiche ma non condivisibile, viene all'uso che ne viene fatto rispetto agli islamisti suicidi: "In italiano questa parola viene usata principalmente nei media per indicare attacchi suicidi di stampo terroristico. Gli altri significati più strettamente legati alla storia giapponese sono relegati, appunto, in ambito storico. E' però da notare come l'immagine del "vento divino" sia originariamente un'immagine di difesa, divina o militare, rispetto ad una guerra in corso o minacciata - immagine che ha poco a che vedere con gli attacchi terroristici nei confronti di civili inermi, di cui si ha tristemente spesso notizia. Perciò si può dire che da sia una parola usata con grave improprietà". Concordo sull'uso sbagliato, senza alcun revisionismo storico rispetto al giudizio sugli atti compiuti dai giapponesi, partendo da Pearl Harbor) e dai kamikaze (alcuni soldati giapponesi nella terrificante battaglia di Iwo Jima si fecero per primi saltare in battaglia con "cinture" esplosive, come i terroristi odierni!) in una strategia bellica frutto alla fine di disperazione e pure di una follia collettiva. Illuminante è un libro ("L'Aventure Kamikaze" di Jean-Jacques Antier, edizioni "Presses de la Cité") che ho appena letto, che è un romanzo storico in cui si racconta con chiarezza la nascita dei kamikaze con particolari per me sconosciuti, come il tentativo nipponico di mettere in campo nuove armi, compresi palloni stratosferici inviati in territorio americano, potenzialmente "caricati" con armi batteriologiche. La parte finale del libro offre squarci interessanti sul perché alla fine gli americani usarono l'arma nucleare e sulla scelta decisiva dell'Imperatore Hiro-Hito di cessare la guerra, esponendosi con messaggio alla Nazione, inusitato per un Dio in terra. Un insieme di vicende che confermano come sia inopportuno storicamente chiamare i terroristi islamici che cercano il martirio dei kamikaze, ma questo non modifica il volto sfigurato dell'umanità e la sua terribile capacità di farsi del male. Gli islamisti - in quel filo spinato di dolore che si allunga nel tempo - sperano nella Bomba Atomica e minacciano l'uso delle armi batteriologiche.