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20 nov 2015

Giro, giro tondo

di Luciano Caveri

Tocca cominciare con qualcosa che tutti sappiamo nell'automatismo della nostra memoria e ci vediamo mano nella mano con gli amichetti della nostra infanzia. «Giro, giro tondo, casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra!»

Quando da bambino cantavo questa filastrocca ero inconsapevole della sua portata. Avevo attorno a me elementi di problemi globali, che ruotavano come pianeti sfuggenti in un puzzle difficile da ricostruire. Penso ai racconti di mio padre e dei miei zii di quella guerra finita una ventina di anni prima, mentre mio nonno risaliva alla prima guerra mondiale, cinquant'anni prima. Erano fatti, che avrei capito più avanti, che segnavano per loro ricordi pieni di partecipazione emotiva, spesso paure e dolore, che la sensibilità infantile coglievano senza capirli.

Seguivo anche le notizie di attualità, per quanto in grado di cogliere, e capivo almeno che non tutto era rosa e fiori, ma mi pareva che tutto sommato il futuro sorridesse lo stesso. Come se usciti alla luce, dopo essere stati al buio, questo già da solo fosse foriero di gioia. Esisteva cioè una speranza e la "vita grama" degli anni difficili era evocata come un fantasma dietro alle spalle. Ogni tanto mi domando se fossero quei precedenti drammatici a colorare tutti di colori d'arcobaleno o non fosse anche l'ambiente amorevole che tendeva con tenerezza a porre al riparo noi più piccoli dalla violenza vissuta e subita. Era probabilmente un insieme delle cose. Oggi mi pongo, con due figli grandi ed uno piccolo, di fronte ad un mondo pieno di amarezza e insidie in un continuum che assilla e preoccupa. Come in una casa degli orrori apri e chiudi stanze piene di brutture e mostri, che sembrano non finire mai. Il caso più recente davvero da "casca il mondo" è questa rete fitta dell'estremismo islamico. Non fanno paura i terroristi in sé: quelli della strage di Parigi sono balenghi da banlieu di infimo livello culturale e morale. Robottini mostruosi nelle mani di manovratori che fanno del loro dio un teorico dell'odio e della morte. Roba da non credere, ma da capire e da combattere e certo non da conviverci, facendoci il callo. Questo lo dobbiamo comunicare con garbo ai nostri bambini, ai ragazzi, ai giovani, cercando le parole giuste e facendoli crescere non nella violenza e nella paura, ma neppure raccontandolo loro frottole o addolcendo la pillola amara. Bisogna anche assecondare, specie negli adolescenti, il desiderio di capire, anche ponendosi controcorrente, che è poi un modo per cercare la loro strada. Loro, a differenza dei bambini instradati verso una religione di morte e alla follia del martirio, devono essere persone cui comunicare valori positivi e forti. Non marionette dalle mani insanguinate, cui spiegare come sgozzare un "infedele". In questo c'è davvero una guerra di civiltà, che si risolve solo facendo valere la forza delle nostre idee e dei nostri valori, aperti al confronto e alla contaminazione, ma non calando le braghe a chi ci vuole schiavi, morti, sradicati dai nostri principi. Questo non deve capitare e l'orrore programmato sarà sconfitto dalla nostra determinazione. Ciò avverrà solo se sapremo curare con garbo un passaggio di saperi e esperienze verso chi prenderà il nostro posto e lo farà sapendo che far valere capisaldi di democrazia e libertà è la risposta a chi vorrebbe distruggerli.