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21 nov 2015

No a un laissez-faire dell'Odio #Paris

di Luciano Caveri

Osservavo ieri - e da lì riparto oggi - che qualche rinuncia alla libertà, dopo gli attentati islamisti concatenati in un crescendo di orrore, ci dovrà essere. Vorrei qui meglio definire alcune questioni in ordine sparso. Cominciamo dallo "spazio Schengen", composto da ventisei paesi, di cui ventidue membri dell'Unione europea e quattro non membri (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). Non ne fanno parte Bulgaria, Cipro, Croazia, e Romania, per cui il trattato non è ancora entrato in vigore, e Irlanda e Regno Unito, che non hanno aderito alla convenzione esercitando la cosiddetta "clausola di esclusione". In questa zona i cittadini dell'UE e quelli di Paesi terzi possono spostarsi liberamente senza essere sottoposti a controlli alle frontiere.

Oggi il sistema scricchiola perché i terroristi islamici profittano di questa mobilità e si aggiunge la complessa circostanza dei terroristi che si sono infiltrati fra i "richiedenti asilo" (almeno uno, registrato in Grecia, risulta implicato negli attentati parigini). Questo del "Trattato sulla libera circolazione", per fare un caso concreto, è un punto su cui si può tornare indietro e lo dico con vivo dispiacere. Va poi definita una griglia più severa per lo status di "rifugiato" per evitare appunto che fra i meritevoli dell'asilo si insinuino delle carogne. Così come va digerito l'inasprimento di controlli di vario genere, compresa una ragionevole compressione della privacy, connessa anche all'uso del telefono, della posta elettronica e dei nostri spostamenti. Ci vuole assoluto rigore coi siti di propaganda islamista e bisogna essere spietati con ogni forma di proselitismo spacciata per libertà religiosa. Il rimpatrio di chi delinque dev'essere efficace, così come la certezza della pena, visto certo lassismo dimostrato da Giudici in processi con personaggi che sono diventati poi big del terrorismo internazionale. Tutto va fatto con convinzione, compresi i finanziamenti necessari per le Forze dell'ordine, specie per l'Intelligence che deve agire per la prevenzione. Ho molto apprezzato in queste ore un articolo su "Terrorismo e diritti dopo Parigi" di Carla Bassu, docente di diritto pubblico, presso l' Università di Sassari su "Il Ricostituente". Mi permetto di citare una parte su cui riflettere, apprezzandone la viva lucidità e l'equilibrio: «L'ondata emotiva causata dalla violenza cieca dei terroristi è una scossa portentosa per chi, cresciuto in un contesto di pace, libertà e relativo benessere si identifica nelle vittime e sente visceralmente l’ingiustizia intollerabile della brutalità terrorista. La reazione, comprensibile perché semplicemente umana, è violenta e si traduce in un impeto di punizione e rivalsa contro l'oltraggio subito. Leggi speciali, chiusura delle frontiere, bombardamenti sui territori infestati dalle cellule del terrore sono gli strumenti di reazione annunciati e applicati all'indomani di ogni attentato, ormai da quindici anni a questa parte, e l'estensione temporale di misure definite straordinarie fa amaramente constatare un fenomeno di normalizzazione di una emergenza che - per definizione - dovrebbe essere circoscritta e limitata nel tempo. Purtroppo, altrettanto tristemente, siamo costretti a prendere atto di una inadeguatezza di questi strumenti che solo in parte hanno mostrato una qualche utilità nella prevenzione di attentati, rivelandosi sostanzialmente inefficaci rispetto all'obiettivo di debellare la rete del terrorismo fondamentalista». Prosegue così il ragionamento: «in compenso, queste misure eccezionali intervengono su diritti quali la libertà personale, di movimento e riservatezza cui volentieri si è disposti a rinunciare di fronte alla priorità della sicurezza. Ciò che fa riflettere è una tendenziale carenza di attenzione nella verifica del nesso di causalità tra applicazione delle misure restrittive dei diritti e diminuzione del pericolo terrorista. La dinamica dei più gravi attacchi sferrati in occidente dimostra che spesso il nemico proviene dall'interno ed è cresciuto sviluppando il delirio della violenza nell'ambito della stessa società contro cui si ribella. Per intenderci, le serpi terroriste crescono in seno alle democrazie in barba alla chiusura delle frontiere e alla nazionalità di appartenenza. Addirittura, sempre più sovente, queste cellule impazzite vengono esportate dall'occidente, come dimostrano i casi eclatanti del boia dell'Isis Jihadi John ma anche gli italiani Maria Giulia Sergio e Giuliano Delnevo - questo ultimo morto in Siria dove combatteva tra le fila di Assad - che hanno aderito alla dottrina del terrore, facendo proseliti dal fronte. La normativa straordinaria che deroga ai diritti di libertà non sempre si presta a una mirata strategia di individuazione e annientamento del pericolo, non adattandosi a una guerra atipica, combattuta a livello diffuso negli angoli remoti del nostro territorio e alimentata dalla imponente cassa di risonanza della globalizzazione elettronica e dai social media. Con questo non si vuole gettare un'ombra disfattista sugli strumenti di contrasto al terrorismo tipicamente adottati dagli Stati costituzionali, bensì osservare che la progressiva assuefazione alla limitazione dei diritti di libertà per ragioni di sicurezza rappresenta già una vittoria per i professionisti del terrore, che aspirano a minare i presupposti della civiltà democratica, imponendo le regole dell'oppressione violenta». Queste le pacate conclusioni: «Combattere il terrorismo con tutti i mezzi è senz'altro la priorità assoluta per gli ordinamenti costituzionali che, in questa missione, devono essere sostenuti dalla coesione popolare. Ma non arrendersi ai tentativi di sopraffazione non significa perdere di vista gli elementi caratterizzanti il nostro modello socio culturale, che deve essere rivendicato e non negato. L'impianto di diritti e guarentigie individuali e collettive rappresenta l'orgoglio della nostra civiltà giuridica ed eroderlo significherebbe tradire la democrazia. Un successo che non possiamo concedere ai terroristi». Insomma: va cercato l'equilibrio fra quei capisaldi non a caso francesi di "Liberté, Egalité, Fraternité" e gli aspetti più tutelanti del diritto costituzionale, che si intrecciano purtroppo con chi sfrutta i nostri spazi di Libertà per i propri disegni malvagi e ciò non può essere consentito. Il laissez-faire dell'Odio in Europa non può esistere.