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04 nov 2015

E' tutto cancerogeno?

di Luciano Caveri

Ci siamo tutti rimasti maluccio e la reazione ha oscillato, come due paletti opposti, fra la fifa blu e l'afflato libertario. Mi riferisco al recente studio, di cui non ho letto l'originale e per altro non so neppure se avrei la competenza per capirci qualcosa, impressiona e preoccupa anche nella sua semplificazione giornalistica. In sintesi i giornali riportano così il problema: consumare salumi, insaccati e ogni genere di carne lavorata può - a determinate condizioni e con certi quantitativi - causare un aumento dei rischi di ammalarsi di cancro e analogo pericolo, pur meno nitido, vale per chi mangi carne rossa. L'allarme è arrivato dall'"Iarc", l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, parte dell'"Oms", l'Organizzazione mondiale della Sanità. La notizia è esplosa come una bomba e credo che sia in assoluto la più commentata in questi giorni, con un effetto immediato nel calo delle vendite di certi prodotti. Ed è pieno di persone che si esibiscono con muscolari «io lo avevo detto» da primi della classe.

Che ci sia ormai da anni, anche con direttive comunitarie, una classificazione di prodotti considerati cancerogeni è ben noto. In campo alimentare di "allarmi rossi" ne ho letti tantissimi: dai grassi vegetali ai dolci con i coloranti, dalla farina "00" al dado da brodo, dallo zucchero al sale da cucina. Ci sono poi elenchi infiniti di sostanze come vernici e tinture, candele e pennarelli, salviette per neonati e deodoranti per la casa. Pesticidi e metalli pesanti possono inquinare frutta e verdura e avanti così in un elenco infinito e che colpisce molti elementi della nostra quotidianità, il cui culmine dell'impressione è il pacioso caminetto a legno con le sue emissioni gassose. Tutto vero, tutto testato con prove di laboratorio. Scienza, insomma. Il cancro fa paura, specie in una Valle d'Aosta dove la percentuale di malati risulta più alta della media. Ognuno di noi ha esperienze di sofferenze di qualche parente o amico, salito sulla giostra di questa malattia, che ancora oggi - ingiustamente per i progressi della scienza medica - viene chiamato da molti cronisti come "male incurabile" e talvolta purtroppo è davvero così. Ha scritto il giornalista de "La Stampa", celebre inviato di guerra, Mimmo Càndito, sulla malattia che lo ha colpito e contro la quale sta combattendo: «Chi è malato di cancro vuole che si rompa la cortina di commiserazione che lo circonda, non accetta l'esorcismo pavido di chi non vuol mai usare la parola "tumore" e ripiega su "il brutto male"; non chiede pietà, e nemmeno l'insopportabile ipocrisia di chi dice "coraggio" e di nascosto fa gli scongiuri, vuole soltanto la comprensione d'un sentire comune perché il tumore viene vissuto - da chi lo ha - come una malattia "sociale", qualcosa che non appartiene soltanto al malato ma fa parte d'una dimensione psicologica ed emotiva più ampia, che va anche al di là della cerchia familiare». Un giorno verrà in cui l'intelligenza umana riuscirà a scalare anche questa montagna ed a rendere innocua questa malattia terribile e pure capricciosa, che colpisce ciecamente e quel stupisce, di fronte a notizie come quella di cui parliamo, sta nel fatto che spesso, anche attorno a noi, c'è chi si ritrova con un tumore malgrado inappuntabili stili di vita ed apparenti ambienti salubri in cui vive. In tutto il mondo c'è chi sta studiando i meccanismi e qualcuno prima o poi svelerà definitivamente le ragioni che ne sono all'origine. Forse, come spesso accade nella storia della medicina, sarà qualcuno che verrà aiutato dalla sorte. Si chiama "serendipità" e significa trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne cercava un'altra. A metà del 1700 l'inglese Horace Walpole spiegava all'amico Horace Mann il significato del termine "serendipity", da lui coniato dopo aver letto la favola dei "Principi di Serendip". Nella favoletta si narravano appunto le avventure di tali principi, che durante i loro viaggi alla ricerca di oro non facevano altro che scoprire cose nuove, in modo sempre casuale. Si cita sempre quanto capitò nel 1928 allo scienziato scozzese Alexander Fleming, quando era impegnato nello studio dell'influenza. Fu lui un giorno ad accorgersi che una coltura batterica sotto osservazione era stata uccisa da una muffa blu-verdina che si era sviluppata sul vetrino: il batterio era lo stafilococco, la muffa era niente altro che la penicillina, una grande e appunto casuale scoperta scientifica. Ma ha ragione lo scienziato Louis Pasteur quando segnala come «La chance ne sourit qu'aux esprits bien préparés». Essere lì al momento giusto, ma capendo l'imprevisto. Aspettiamo fiduciosi.