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12 set 2015

L'alpinismo e le ordinanze di divieto

di Luciano Caveri

Il filone delle responsabilità giuridiche specifiche in montagna (di chi ci va, di chi ci abita e ci lavora, di chi la amministra) è stato battuto in lungo e in largo dalla Fondazione Courmayeur, che ha avuto il merito negli anni di scavare approfonditamente nel tema, che fosse alpinismo nelle diverse versioni, sci sulle piste e fuoripista, impianti di risalita e eliski, sentieristica e ferrate, valanghe e frane e ogni altro aspetto. Ed è avvenuto nel complesso regolamentare e normativo: dal Comune all'Unione europea con la ricca giurisprudenza delle diverse giurisdizioni. Materia appassionante e utile. Eppure ogni volta, essendo attività dinamiche, si trovano nuovi elementi di discussione, che si fa con vivace in un mondo della montagna - la punta di diamante è l'alpinismo dove i veleni non mancano mai - che non disdegna affatto le polemiche, anche le più virulente.

Oggi si dibatte molto, ma in verità non è una prima volta, sulle ordinanze dei Sindaci. Per chi non lo sapesse, l'ordinanza è un provvedimento motivato contingibile ed urgente che può essere emanato dal Sindaco al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini.Quando può essere adottata? Un’ordinanza sindacale può essere adottata solo in casi di gravi ed eccezionali necessità al fine di tutelare l’incolumità pubblica. Un provvedimento per il Cervino è stato assunto nel pieno dell'estate (tra l'altro del 150esimo dalla prima scalata della montagna) dal sindaco di Valtournenche, Deborah Camaschella. Lei stessa, pur firmando il provvedimento, in analogia con scelte assunte dai suoi predecessori, ha evocato la necessità di capirne di più sotto il profilo del diritto e so che si attende - a vantaggio di tutti i Comuni valdostani interessati - un parere giuridico a carattere generale (tra parentesi: la questione dimostra come i Sindaci debbano avere collaboratori scelti per la loro competenza e non essere tentati da criteri politici da collocamento). Ma torniamo al Cervino: dopo un incidente che aveva coinvolto una cordata in discesa, il provvedimento disponeva "l’immediata chiusura, temporanea, della via italiana del Cervino denominata Cresta del Leone, dalla croce Carrel alla vetta, lato sud in salita e in discesa, al fine di evitare il grave pericolo per l’incolumità pubblica". Fra le motivazioni si evocavano anche: "anomale temperature alte e fuori della norma che hanno provocato crolli pericolosi per l’incolumità degli alpinisti” e sui rischi si erano pure espressi le Guide alpine e il Soccorso Alpino Valdostano. Nelle stesse ore c'erano stati analoghi problemi anche sul Monte Bianco per gli smottamenti e le cadute di sassi sugli itinerari più frequentati. Ciò spinse le autorità francesi, anch'esse non nuove a certe scelte, a chiudere l'itinerario più trafficato sul versante francese e a chiudere anche il rifugio nuovo di zecca del Goûter. Così si leggeva sulla stampa d'Oltralpe: "Le célèbre refuge du Goûter, situé à 3.800 mètres d'altitude en Haute-Savoie sur la voie d'accès «normale» menant au sommet du Mont Blanc, a été fermé ce samedi «pour une période indéterminée» face aux risques d'éboulements, a indiqué la mairie de Saint-Gervais. «Considérant l'aggravation de la dangerosité de l'accès au Mont Blanc par l'aiguille du Goûter», Jean-Marc Peillex, le maire de la ville, a pris un arrêté de fermeture du refuge «en parfaite concertation avec Monsieur le préfet de Haute-Savoie».". Per entrambi i casi, vale a mio avviso il commento del giovane e colto Presidente delle guide del Cervino, Gérard Ottavio: “L’alpinismo è un’attività del tutto particolare, in cui il rischio è sempre presente. Imporre qualcosa non è mai la soluzione migliore. Ma in ogni caso noi guide lassù non portiamo i clienti in questi giorni“. Dal punto di vista giuridico, questo si concretizza nel rischio che l'ordinanza configuri, nell'azione della chiusura, l'esistenza di responsabilità di chi firma l'ordinanza su quel percorso. Già non è facile assicurare il rispetto dell'ordinanza, ma se poi dopo la riapertura mi cadesse un masso in testa mentre scalo posso citare il Sindaco in giudizio non avendo vigilato sulla mia incolumità? Per altro il riscaldamento climatico, con lo scioglimento del permafrost e acquazzoni che sembrano piogge monsoniche con tuoni e fulmini da tregenda, renderà l'alta montagna sempre più fragile e soggetta a rischi per chi la percorre. Insomma: penso che la cautela sarebbe d'obbligo non esistendo per la montagna la possibilità, come su di una spiaggia vigilata da bagnini, di una bandiera rossa che vieti la balneazione. Questo non vuol dire annunciare - come con i media oggi a disposizione si può fare e anche in tantissime lingue - rischi e condizioni negative, sapendo che chi dovesse andarci ci andrebbe a proprio rischio e pericolo in quello spazio di libertà dell'alpinismo difficile da rinchiudere in divieti che finirebbero per essere delle grida non applicabili nella realtà. Capisco che resti un tema assai difficile. Mi spiego. Se uno va lo stesso laddove esistono accertate condizioni proibitive, come la mettiamo con i soccorritori che rischiano la ghirba con un intervento - in più in Italia e Francia a spese del contribuente (in Svizzera si paga) - per andare a prendere l'infortunato, che ha sfidato comunque la sorte, nel caso in cui stia per rimetterci la pelle? Vien da rispondere cinicamente: noi te lo avevamo detto...