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11 set 2015

La politica e le migrazioni in corso

di Luciano Caveri

Uno dei compiti della politica seria è quella di equilibrare le spinte emotive dell'opinione pubblica, assumendosi la responsabilità di fronte ai grandi problemi che ci angustiano. Altrimenti la democrazia rappresentativa non serve e si può chiudere tutto, immaginando chissà quale formula decisionale. C'è chi ha preconizzato forme partecipative e di governo affidate al mondo del Web con formule di consultazione diretta. Chi frequenta la Rete, "social" compresi, sente sull'ipotesi una goccia di sudore sulla fronte, pensando a come certi spazi di libertà possono essere buttati via in troppe occasioni, specie da chi sceglie con la pancia e non con la testa. Ancora più grave per le decisioni politiche.

Tocca tornare, anche se ne ho molto parlato, ma qui registro i miei pensieri che hanno timbri secondo i momenti, sul tema immigrazione. Per fortuna in Occidente esiste una stampa libera che consente, per chi lo voglia fare, di scavare nelle notizie e semmai il rischio è quello di uscire dal bombardamento di spunti ancora più confuso di quanto si fosse in partenza. Gran parte dei profughi, quelli veri, fuggono da scenari di guerra su cui non si può far finta di niente, pensiamo agli interventi in Libia e al pasticcio della Siria e potremmo tornare indietro sino alla guerra in Iraq - su cui da deputato espressi i miei dubbi - punto di partenza di certe vicende che hanno dato il via, ad esempio, a problemi già storicizzati fra sciti e sunniti. Ma ci sono altre ferite in Africa e in Asia che l'Occidente non ha saputo suturare per tempo ed oggi ci troviamo dove ci troviamo. Si è aggiunto a peggiorare le cose lo Stato islamico, espressione culminante di un integralismo islamico feroce e cieco che si stenta a fermare. La marcia di poveracci - perlopiù siriani - iniziata a un certo punto da Budapest a Vienna è così diventata un simbolo che ha colpito, come il cadavere del bimbo, anche lui proveniente dalla Siria, bocconi sulla spiaggia turca di Bodrum, ucciso da quel mare che doveva aprirgli un nuovo futuro e dalla cupidigia degli scafisti assassini. E' stato, in verità, uno dei tantissimi bimbi morti in questi anni, ma quello scatto fotografico ha colto l'attimo di una tragedia esemplare e che ha commosso perché fotografata. Tuttavia la marcia è davvero la rappresentazione fisica di come si può prefigurare il movimento epocale di folla che decida - tutta assieme come una colonna da immagine dantesca della disperazione - di venire qui per la semplice ragione che pensano che da noi, qualunque cosa capiti, si stia meglio che da loro. E non è solo una questione di "asilo politico" o di status di rifugiato ma può valere per milioni di persone, che scelgano - stando semplicemente male dove stanno - di andarsene tutte in Occidente, provando a forzare le frontiere del Paese che è più vicino per loro. Noi non faremmo altrettanto nella loro situazione? Allora la politica deve contare di più e trovare l'equilibrio. Da una parte ci sono quelli che scrivono sui "social" di frontiere armate, di campi di concentramento, di militarizzazione dei controlli interni. Hanno spesso adepti a termine, che si infiammano proprio sulla base di una spinta emotiva e magari sono persone buone che aiutano l'immigrato che abita al piano di sotto. Dall'altra c'e chi vaneggia attorno ad un terzomondismo senza regole e con una solidarietà a tutto campo. Alcuni lo fanno con fondamento, altri - commossi nell'immediato - sono talvolta gli stessi che fanno causa al vicino o accendono le assemblee condominiali di odi inutili. La ricerca del juste milieu è dunque della politica. Leggo sempre, anche se so che sta sulle scatole a molti miei amici che non lo sopportano per partito preso, cosa scrive Romano Prodi sulle crisi internazionali che spingono alla fuga sul Vecchio Continente. Lui se ne intende davvero e chissà quali amarezze avrà a vedere certi Paesi dell'Est che seminano odio xenofobo e inquinano l'Europa, dopo che lui ci spiegava all'epoca della scelta quanto l'allargamento (2004 completato nel 2007) ai Paesi già del "Patto di Varsavia" fosse una decisione coraggiosa da prendere per stabilizzare il futuro dell'Unione europea. Altra pasta rispetto a chi, in Europa, fa l'aggressivo e poi sul tema immigrazione, ogni volta che si decide la linea comunitaria a Bruxelles, subisce le decisioni altrui ed è incredibile, pensando al prezzo pagato e che sta pagando l'Italia per affrontare le emergenze, che dovrebbe porla in un ruolo guida. Altro che rottamazione...