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09 set 2015

Quando il vino è apparizione e malia

di Luciano Caveri

Scrivevo ieri della grande occasione che si ha nell'invecchiare sotto il profilo, non solo consolatorio, dell'esperienza che si accumula, tramutata nella famosa saggezza. "Saggio" viene dal latino "sapĕre - aver sapore, aver odore" ed "aver senno, intendere". Sarà un ragionamento arzigogolato, ma come non pensare, a proposito dell'origine del termine, a come esso coincida - nell'evocazione di odore e di sapere - al vino, la bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del mosto d'uva che ci accompagna da un passato remoto. Prodotto poliforme per la varietà con cui è capace ad esprimersi, che copre ormai dal punto di vista produttivo tutti i Continenti e con il riscaldamento del Pianeta la vite ha raggiunto zone un tempo impensabili. Ma sia chiaro che l'Europa ha una profondità storica e di matrimonio con le cucine nazionali e locali che prevedono che i competitor possono vendere delle bottiglie ma raramente possono rivaleggiare con il terroir nel senso più pieno di certe zone.

Ma torniamo al ragionamento sul vino. Il suo invecchiamento, altro legame con la saggezza, aggiunge a certi vini dei caratteri straordinari. Posso dire invece che i vini giovani, nel solco del "Beaujolais nouveau", hanno tutta la mia simpatia, ma questa dei vini di pronta beva sembra una moda declinante, che non investe mai certi "vecchi", perché non effimeri. Lo dico con umiltà francescana, avventurandomi su di un terreno nel quale ho molti amici esperti che - se finiranno a leggere questo mio post - mi sfotteranno per la manifesta incompetenza. Confido di spegnere la presa in giro con una buona bottiglia... Ma fatemi tornare "a bomba", come può fare bonariamente una buona bottiglia di champagne schiantata contro la fiancata di un transatlantico all'atto del suo varo. Io il vino comincio a capirlo adesso. Non che non lo bevessi. Credo di aver già detto che nella mia famiglia il vino in tavola c'era sempre ed era un uso alimentare vero e proprio. Io ho cominciato a berlo da ragazzino nelle osterie che frequentavo fra bassa Valle d'Aosta ed il Canavese e battesimo vero e proprio - per la sua forza trasgressiva - fu la festa dei coscritti. Ma non posso dire che si apprezzasse il vino, se non appunto per la sua forza socializzante e l'abitudine di un certo abuso da festa. Ho già detto tante volte come gli alcolici possano diventare una brutta bestia se non ci si mette attenzione e si sceglie un loro uso consapevole: bisogna sapere che esistono limiti e abitudini, altrimenti si cade in braccio ai pericoli, pure letali. Non lo dico per un predicozzo di maniera, ma perché ho perso per gli abusi degli amici in incidenti stradali o nella terribile discesa agli inferi della dipendenza. Ora che sono più "maturo" (eufemismo) il vino per me è una gioia che benedice certi momenti della mia vita. Di conseguenza ho fatto delle visite straordinarie. Ricordo il tour che mi ha lasciato stupefatto alle cantine dello Champagne e partecipai pure ad un gemellaggio fra la varietà di "Fontine" di progressiva stagionatura e champagne con diverse caratteristiche. Chapeau! Viva soddisfazione anche in certe cantine del Monferrato e delle Langhe, così come in Franciacorta, esperienza che dimostra con la brevità temporale che, fra la partenza e il successo di una nuova vocazione vitivinicola vincente, non ci vogliono secoli di storia. Penso che certi sentimenti di gioia possano provarli anche i turisti in certe cantine valdostane, dove tradizione e innovazione si sposano con intelligenza. L'ultima apparizione? "Châteauneuf du Pape"! Questi superbi domaines della Provence, i cui vigneti sono bagnati dal Rodano ("Rôno" in francoprovenzale), fiume che finisce nel Mediterraneo, dopo gli ottocento chilometri di un lungo viaggio - che potrebbe essere un itinerario affascinante da percorrere a piedi - che inizia dalle sorgenti di un ghiacciaio del Vallese. Una malia sorseggiare questi vini, con una stilla di Alpi, seduti fra un ulivo e un pino marittimo.